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Gentiloni scavalcato: è Renzi (con Obama) a parlare con Macron

Matteo telefona due volte al presidente eletto bruciando la chiamata ufficiale del premier

Gentiloni scavalcato: è Renzi (con Obama) a parlare con Macron

Già all'ora di pranzo s'intravede nei corridoi di Montecitorio un primo, chiaro effetto-Macron sul governo italiano: la robusta sforbiciata alla zazzera del premier Paolo Gentiloni, perpetrata nella barberia in stile liberty della Camera.

Più della metafora che sembra, realtà che supera la finzione. Anche perché non sarebbe potuto accadere allo scalpo di Matteo Renzi, in quanto non «onorevole». Lesto di mano e di cornetta però sì, per cui l'ex premier arriva a telefonare al presidente appena eletto già nella serata della festa. Un augurio in fretta e furia. E si può capire come il fastidio per Macron abbia potuto rasentare la seccatura dal fatto che Renzi una seconda telefonata l'ha voluta fare anche ieri pomeriggio. Più lunga e cordiale, grazie all'intermediario d'eccezione: Barack Obama. Vecchi amici che si vedono nell'ora del bisogno.

Nel frattempo, il felpato e docile Gentiloni sfumava parrucco e nel pomeriggio provvedeva ad auguri formali in una telefonata definita (un caso?) «lunga e cordiale». Ulteriore segno dei rapporti in vigore al governo, magari. Ma anche che alle elezioni si andrà a scadenza naturale, nel 2018, dopo che il San Sebastiano piddino avrà sforbiciato quel che c'è da sforbiciare, assumendosene peso ed espiazione così da lasciar fluire liberamente la chioma elettorale di Matteo redivivo. Eppure quel che si muove sotto le chiome del Pd (che tanto si vorrebbero macroniane) dovrà fare i conti con l'oste transalpino. La parola «speranza» è quella che affiora dall'altra sera come un mantra: cripto-marxiano per Gentiloni («evviva, una speranza si aggira per l'Europa»), neo-banale per Renzi («la vittoria di Macron scrive una pagina di speranza»).

Il peggio verrà poi. Ora il presidente francese deve dotarsi di solida base parlamentare (tra un mese si vedrà), di un premier capace, di un programma che rilanci Francia ed Europa. Tutti attendono con ansia la ripresa dell'«asse franco-tedesco», e difatti la prima visita del nuovo inquilino dell'Eliseo sarà a Berlino, dove Frau Merkel riscuoterà la puntata fatta a suo tempo sul giovanotto sciupavegliarde. «Non ho il minimo dubbio che lavoreremo bene assieme», ha voluto far sapere la Merkel. E il ministro degli Esteri Gabriel pensa addirittura che Macron aiuterà un cambio di atteggiamento della Germania nei confronti dei «Paesi più in difficoltà, come la Grecia». Ma quanto la strada sia lastricata di buone intenzioni, oltre che di buche, è facile comprenderlo dalle parole del presidente europeo Junker, che ieri ha già inviato un monito ai francesi, perché «spendono troppo e per le cose sbagliate». Se sarà vero per la Francia, figurarsi per l'Italia. Basti la differenza palpabile tra la spending review promessa da Macron (60 miliardi di riduzione, 120mila statali a casa) e quella fatta nei mille giorni di Renzi (tre esperti di spending ignorati e poi spediti a casa).

La speranza si condisce perciò con tanta diffidenza, visto che pure Hollande aveva promesso di cambiare la Ue. E gli analisti della banca Rothschild (quella che ha tenuto a battesimo il neo-Bonaparte) già si dicono preoccupati per i «rischi politici» connessi alle elezioni italiane. I guai del perenne «scavalcato» Gentiloni restano perciò poca cosa, specie se paragonati all'ombra che guasta il trionfo renziano, quella del Pisano trapiantato a Parigi. Enrico Letta si sente la copia più simile all'originale, e non manca giorno che non lo ricordi. Vede la fine dello «scaricabarile sui tecnocrati», invoca l'alt a chi «continua a dire che i problemi dell'Italia sono colpa della Germania».

A buon intenditor.

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