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Trasformata in scudo umano per farci vacillare

Il gesto mediatico dell'Isis che accusa la Giordania di aver ucciso Kayla Jean Muller mira a dividere il fronte avversario. Sostieni il reportage

Trasformata in scudo umano per farci vacillare

Forse già oggi qualche anima bella ci racconterà come la morte di Kayla Jean Mueller sia la conseguenza della risposta eccessivamente bellicosa e violenta della Giordania. Balle. Kayla Jean Mueller era già morta da mesi. Da quando lo stato islamico ha adottato la sua spietata politica degli ostaggi. Una politica che non prevede pietà o compassione, ma solo il patibolo preceduto da una cinica e spregiudicata manipolazione del prigioniero. Da questo punto di vista la fine di Kayla Jean Mueller non è diversa da quella del suo connazionale James Foley e degli altri ostaggi ammazzati dall'Isis.

Anche il suo cadavere serve al Califfato e ai suoi agit prop per insinuare la paura nel cuore di un Occidente inerte, radicalizzare la lotta e attirare a se tutti i fanatici islamisti convinti che la «guerra santa» non debba prevedere esclusioni di colpi. Per capirlo basta scorrere il comunicato in cui viene annunciata la sua morte. Leggendolo apprendiamo che sotto le macerie della prigione bombardata dagli aerei giordani è morta solo lei. I suoi carcerieri, gli aguzzini che l'avevano in custodia, sono invece scampati alla morte. Nessun mujahed , spiega infatti il comunicato dell'Isis, è stato ferito o ucciso.

A questo punto tutto è chiaro. Con l'avvicinarsi degli aerei giordani la povera Kayla è stata trasformata da ostaggio a scudo umano. Un inconsapevole scudo umano abbandonato dentro una prigione senza più secondini e uomini armati. Uno scudo umano condannato a morire per dimostrare alla Giordania, agli Stati Uniti, all'Europa in genere che colpire l'Isis significa subire contraccolpi difficili da sopportare per il debole stomaco delle democrazie occidentali. Ma accusare la Giordania di aver causato la morte di Kayla non è solo una scusa per la nostra inerzia. È anche il segno della miopia di chi ignora i rischi corsi dal regno hashemita. Da quel regno sono usciti oltre 2500 jihadisti diventati miliziani del Califfato. Tra i giovani delle tribù giordane, ormai sempre più svincolati dagli insegnamenti degli anziani e degli sceicchi tradizionali, i proclami del Califfato fanno sempre più adepti. A Zarqa, cittadina 13 chilometri a nord di Amman, iniziò, del resto, la sinistra parabola del decapitatore Abu Musab Zarqawi il fondatore di quell'«Al Qaida Iraq» ribattezzata Isis dal suo successore Al Baghdadi.

Ecco perché Amman non può limitarsi a piangere il pilota bruciato vivo dall'Isis, ma deve portare alle estreme conseguenze quella lotta che Washington e i suoi hanno continuamente rinviato. A differenza del Qatar, della Turchia e dell'Arabia Saudita - i nostri finti e infidi amici sempre pronti ad agevolare sottobanco l'Isis e le altre formazioni jihadiste - la Giordania rischia di diventare con Siria ed Iraq la terza nazione bersaglio dell'Isis. Per questo non può permettersi il lusso di sottostare ai suoi ricatti e alla sue menzogne.

Né di adeguarsi alle croniche ed estenuanti esitazioni di noi occidentali.

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