
Tra i numerosi rebus che la traballante maggioranza giallorossa dovrà risolvere nel corso del 2020 c'è anche quello relativo al capitolo previdenziale. La fase «sperimentale» di quota 100 si concluderà, infatti, il 31 dicembre dell'anno prossimo e già il dibattito è aperto su come evitare un nuovo «scalone» determinato dalla sempre vigente legge Fornero.
Con quota 100 ci si può ritirare dal lavoro a partire dai 62 anni con 38 anni di anzianità contributiva, mentre le norme montiane prevedono il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e quello di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne). Evitare nuovi casi di esodati è comunque imprescindibile, tant'è vero che sono state stoppate le intemerate renziane per la sua abolizione già a partire da quest'anno. Le strategie di M5s e Pd, però, divergono. Innanzitutto, nessuno dei due partiti si vuole più intestare la misura cara al leader leghista Matteo Salvini. Luigi Di Maio nel proclama di Capodanno non l'ha inserita tra i baluardi del Movimento come reddito di cittadinanza e abolizione della prescrizione. Il Pd, pur lodandola di nascosto, ha sempre messo l'accento sull'Ape social. È stata, infatti, rinnovata anche per il 2020 la possibilità di uscire a 63 anni con almeno 30 di contributi che salgono a 36 per i lavori usuranti.
Cosa fare, dunque? Il cantiere è già all'opera da circa due mesi, ma finora non sono state partorite soluzioni efficaci. Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ha già da tempo accennato alla possibilità di sviluppare una flessibilità in uscita à la carte, cioè fissata per sempre in base alla gravosità dell'occupazione (e non inferiore ai 60 anni) e sempre prevedendo un ricalcolo contributivo dell'intero monte pensionistico. I costi legati ai maggiori flussi di pensionamento dovrebbero essere in parte supportati dai risparmi sulla stessa quota 100 che nel triennio 2019-2021 dovrebbe costare circa 4,5 miliardi in meno rispetto a quanto preventivato. L'Ufficio parlamentare di Bilancio, tuttavia, ha manifestato dubbi sull'effettiva disponibilità di queste risorse in quanto la fine di quota 100 potrebbe determinare una sorta di «corsa all'oro» generale.
Marco Leonardi, già consigliere dei governi Renzi e Gentiloni in materia previdenziale e ora al Tesoro con Gualtieri, ha proposto già da tempo un potenziamento dell'Ape social ma con 64 anni e 36 anni di contribuzione e ricalcolo contributivo. Di fatto un'«opzione donna» per tutti. Il meccanismo che consente alle lavoratrici di uscire a 58 anni (59 anni per le autonome) funziona già così. Il presidente del Centro studi Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, ha invece avanzato l'ipotesi di una «quota 102» (64 anni + 38 di contributi sempre con il ricalcolo) i cui costi andrebbero sostenuti con l'abolizione dell'Ape social.
I massimi esperti del settore, come si vede, non sono concordi tra loro. La confusione è poi aumentata non solo dalle diatribe politiche, ma anche dalla complessità dei meccanismi.
La manovra 2020 ha istituito due commissioni di studio sulla materia. Il ministro del Lavoro Catalfo, invece, gestirà i tavoli con i sindacati, contrari al ricalcolo. Un altro gruppo di lavoro, infine, è stato organizzato dal Cnel, presieduto non a caso dal giuslavorista Tiziano Treu.