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Il giallo su Savona Ecco perché fa paura il suo piano di riforme

L'economista in lizza per il Tesoro critica l'Ue: è zoppa, pensa alla stabilità non alla crescita

Il giallo su Savona Ecco perché fa paura il suo piano di riforme

Lui lo chiama, con evidenti suggestioni noir, il «mondo di mezzo». Una via mediana fra i due estremi: rimanere nel Mercato comune europeo e nell'euro a tutti i costi, proni alla supremazia tedesca; abbandonare a testa bassa una costruzione che fa acqua da tutte le parti. No, tertium datur: ci vogliono le riforme. Forti. Incisive. Senza complessi di inferiorità. Ma il grande malato può essere salvato, a patto che si cambi marcia e si faccia sul serio. Lui, Paolo Savona, ministro dell'economia in pectore, si è preparato con scrupolo all'appuntamento che la sorte potrebbe regalargli alla veneranda età di 81 anni. In vista della possibile chiamata da parte di Mattarella, Savona si è dimesso, come anticipato dall'Huffington Post, dalla presidenza del fondo Euklid e dalla codirezione di Euklid Fund Sarl in Lussemburgo.

Ma soprattutto, Savona ha declinato le sue idee in un articolo comparso sull'ultimo numero di le Sfide, il trimestrale della Fondazione Craxi. «Vi sono pochi dubbi - scrive Savona - sul fatto che l'Unione Europea poggi su una gamba sola, quella della stabilità, mentre manca quella della crescita economica e sociale, a causa del sospetto che quest'ultima sarebbe il veicolo dell'instabilità temuta dalla Germania». L'Europa è zoppa, ma Savona, a dispetto della patente di estremista che gli è stata cucita addosso, cerca di sfuggire alla logica manichea di questi tempi: di qua o di là, bianco o nero, dentro o fuori. Senza se e senza ma.

«Un mondo di mezzo, inascoltato - prosegue l'autore - insiste che occorre intraprendere la strada delle riforme». Riforme europee che Savona propone per uscire da una crisi che sembra non finire mai. E per curare la malattia, la zoppia, che affligge i 27 partner.

Il primo step, ambiziosissimo, riguarda l'architettura istituzionale dell'edificio comunitario: «Creazione di una scuola comune di ogni ordine e grado che crei una cultura comune». E ancora: «Stabilire i compiti da assegnare alle istituzioni sovranazionali rispetto a quelle nazionali». A seguire, «ampliare lo statuto della Banca centrale europea assegnando a essa obiettivi di crescita». Non solo: nel suo progetto Savona immagina di ricalibrare il rapporto fra la Commissione e il Parlamento europeo e prevede, nientemeno, l'adozione di una politica fiscale comune.

Tutti i palazzi del potere dovrebbero essere ridisegnati, con una robusta iniezione di politica nelle vene esangui della Comunità.

Più politica, insomma, per agevolare la crescita dei paesi membri, oggi costretti a viaggiare su binari stretti stretti. Fra clausole, veti e parametri che scattano come una ghigliottina al più piccolo scostamento. E invece i cinque punti proposti si portano dietro, a cascata, molti altri passaggi dirompenti: «Investimenti infrastrutturali che unifichino le condizioni di ambiente economico e sociale in cui operano le imprese e vivono i cittadini europei». Di seguito: «Ricorrere all'emissione di eurobond e consentire alla Bce di concedere finanziamenti ponte per finanziarle». Non basta: l'economista prevede anche che si intervenga «sul mercato dei cambi per controbilanciare azioni speculative o politiche che distorcono i fondamentali della competizione europea». E si potrebbe andare avanti a lungo, capitolo dopo capitolo. Difficile, al di là delle etichette di comodo, incasellare Savona fra gli euroscettici. O i picconatori che vogliono demolire tutto. Le proposte possono essere discusse e criticate, ovvio, ma mettere il loro autore all'indice non aiuta. Savona pensa in grande e chiede più Europa. Forse certo scetticismo è figlio della paura che qualcosa cambi davvero.

E che sia ridimensionato lo strapotere tedesco.

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