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Giggino: puniti per aver concluso poco. E sfida Tria ad abbassare subito le tasse

Il vicepremier chiede un vertice d'emergenza per varare la flat tax

Giggino: puniti per aver concluso poco. E sfida Tria ad abbassare subito le tasse

Si era misurato con la vittoria ma non conosceva il tremore della disfatta. E dunque, quando ieri, al Mise, si è presentato ai giornalisti, Luigi Di Maio ha compreso immediatamente che non era in quella sala che si concludeva la sua lunga veglia, ma era in quella stanza che iniziava la sua notte. Per commentare la sconfitta del M5s, il vicepremier ha scelto i suoi uffici ministeriali convinto così di sdrammatizzare l'esito del voto ottenendo, invece, come risultato quello di enfatizzarne il naufragio. Di Maio è arrivato dichiarando: «Ringrazio i quattro milioni e mezzo di italiani che ci hanno votato e anche quelli che non ci hanno votato». Mentre le telecamere ne coprivano il viso, sempre più pallido e gonfio, ha balbettato: «Impariamo e prendiamo una bella lezione. I miei complimenti vanno alla Lega e al Pd. A loro auguro buon lavoro». Ed erano passati pochi minuti quando Di Maio ha detto quello che tutti volevano che dicesse: «Non parlo politichese. Le elezioni sono andate male». Deve essere sembrato cosi dimesso anche a se stesso se ha cercato nell'astensione la ragione del crollo: «La nostra gente si è astenuta. Ci sono tantissime risposte ancora da dare».

Le risposte intanto lui le ha chieste al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che ha sfidato e che ha ritenuto responsabile dei temporeggiamenti: «Io sono dell'idea che prima facciamo il tavolo flat tax-salario minimo e prima lo realizziamo. Poi se vogliamo fare la flat tax per il ceto medio per me non c'è problema. C'è da portare avanti un abbassamento serio delle tasse». Di Maio ha poi rivelato di aver chiesto al premier Conte «un vertice di governo». Per anticipare le mosse di chi ne chiedeva la testa, («Ho sentito Grillo e Casaleggio. Nessuno ne ha fatto una questione di teste da saltare»), ha annunciato che il M5s si riunirà domani e che si doterà di una futura organizzazione. Ma si è capito a conferenza finita che più che organizzazione si trattava di riorganizzazione. Al Mise, ieri pomeriggio, è stato convocato «il comitato centrale» composto da Alessandro Di Battista, Vincenzo Spadafora, Paola Taverna, Gianluigi Paragone, Riccardo Fraccaro, Rocco Casalino, Augusto Rubei, con l'intenzione, ma solo dichiarata, di fare un punto sulle elezioni. Solo alla fine della conferenza, Di Maio ha avuto un sussulto. Nelle battute finali, il leader del M5s ha precisato che «il M5s porterà lealtà al nostro alleato: il contratto» e che queste «rimangono elezioni europee». Era chiaro che fingeva. Se ne aveva la certezza quando sulla Tav ha detto che «è un dossier nelle mani del presidente Conte. Ma nel contratto si parla di ridiscussione dell'opera» o ancora sull'Autonomia, («Si deve fare ma tenendo conto della coesione nazionale»). Era chiaro che stava consegnando il governo nelle mani di Salvini a cui ricordava: «Ho sempre trattato la Lega alla pari» e a cui chiedeva: «Mi auguro sia finita la stagione in cui si parla a mezzo stampa».

Intanto, il M5s, in Europa, è orfano e si trova senza alleati. «Avvieremo delle interlocuzioni» ha spiegato Di Maio che nei fatti non sa a quale casa (Alde o Verdi?) bussare per non rischiare l'irrilevanza.

La verità è che, ieri, Di Maio, si augurava che tutto si concludesse per alzarsi svelto da quella stanza che sembrava un refettorio ma senza i rosari che, per una volta, anche lui avrebbe tanto voluto stringere.

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