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Le giravolte di Travaglio maestrino dalla penna rossa

Il direttore del «Fatto» fa il censore con gli altri Ma si autosmentisce, dallo scandalo Csm a Carola

Le giravolte di Travaglio maestrino dalla penna rossa

Non sono tempi facili per Travaglio. Il mestiere era decisamente più semplice quando c'erano i magistrati difensori della Costituzione e della democrazia da una parte, e dall'altra Berlusconi, lì si che ci si divertiva. Ora la situazione si è ingarbugliata. Ci sono i magistrati accusati di corruzione da altri magistrati, e che magistrati, quelli dell'organo di autogoverno delle toghe. Poi mica uno a caso, ma proprio il consigliere del Csm Luca Palamara che faceva il presidente dell'Anm negli anni ruggenti della caccia giudiziaria all'allora premier Berlusconi, con cui Palamara polemizzò più volte per difendere «l'indipendenza della magistratura», così disse, da «attacchi di una gravità inaudita», così disse, fatti per «favorire l'illegalità», così disse il pm indagato, in perfetto stile Travaglio. E non basta, questo Palamara che ti fa? Va a trafficare proprio con l'esponente più trafficone del giglio magico renziano, Luca Lotti, bersaglio fisso proprio del Fatto. Davvero un colpo basso da Palamara. Ma non è il primo pm che gli tira il pacco. L'altro è stato Antonio Ingroia, sostenuto e pure votato da Travaglio, finito indagato e - pare - ubriaco all'aeroporto di Parigi. L'intervista in cui Ingroia negava la sbronza e sosteneva che fosse tutto un complotto («Fake news uscita proprio il giorno dell'anniversario della sentenza della Trattativa»), non a caso è uscita proprio sul quotidiano da lui diretto. Ma non è che il problema sia la giustizia italiana, è che «oggi i magistrati non sono più quelli liberi e indipendenti del 1992 di Mani Pulite» ha spiegato in tv. Mentre ogni giorno bacchetta tutti gli altri giornali, su questo e altro.

Ma a complicargli la vita c'è pure Carola. Dal direttore di un giornale in area Vauro e Gino Strada, ti aspetti la difesa della Sea Watch, che poi in questo caso significherebbe anche dare ragione al giudice che ha annullato l'arresto, quindi fare filotto e pallino. E invece no, finisce che Travaglio si ritrova dalla stessa parte di Salvini che accusa i magistrati di emettere «sentenze politiche». Ma com'è possibile, Travaglio contro le toghe politicizzate? È un dilemma che solo il rigore del giornalista senza compromessi può risolvere, anche a costo di prendere atto dello spaesamento dei propri lettori: «A spanne, anche alla luce delle lettere che riceviamo, possiamo dire che la comunità del Fatto si divide a metà. Una parte solidarizza con questa donna coraggiosa e generosa che recupera migranti da barconi pericolanti in acque libiche e li porta in Italia. L'altra parte, più sensibile alla legalità, non accetta che l'Italia resti il capro espiatorio dei ricatti libici e del menefreghismo europeo» scrive Travaglio, che - codice alla mano - propende per la seconda parte.

Certo non per difendere a tutti i costi il governo Conte, altra accusa che ha dovuto subire quella di essere troppo filo-M5s, questione emersa anche in una assemblea dei giornalisti del Fatto («Non parlerò più con la redazione, mi rapporterò soltanto con i vicedirettori» sbottò in quell'occasione Travaglio secondo il Foglio). Di certo è rimasto l'unico a difendere la terrificante amministrazione di Virginia Raggi, sotto attacco dei «giornaloni» che, poverina, vogliono «dipingerla come una delinquente, una corrotta, una fascista mascherata, una sgualdrina». Si è anche offeso per conto terzi, per una copertina dell'Espresso che ritraeva la Raggi con le rughe. «Tutti zitti: contro la Raggi si può tutto» si è indignato. Proprio lui, l'inventore dei nomignoli per sfottere chiunque.

Per un giornalismo super partes si fa questo e altro.

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