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Giro di vite europeo: il sogno della ripresa frenato dalle sanzioni

Timori per ulteriori ritorsioni in vista contro Mosca. A rischio l'opportunità offerta all'Italia dal cambio favorevole all'export

Giro di vite europeo: il sogno della ripresa frenato dalle sanzioni

Ciò che Mario Draghi crea, l'Unione europea distrugge. Politica monetaria contro real politik, strategia di ammorbidimento economico in collisione con il restringimento delle maglie nei confronti della Russia. Così, mentre la Bce è pronta ad allentare ulteriormente le briglie con nuove misure per aiutare l'economia, Bruxelles dà un altro giro di vite a Mosca sotto forma di nuove sanzioni ad ampio spettro, da approvare domani dagli Stati membri, che colpiranno ancora i mercati finanziari, le forniture militari, i beni civili e militari e le cosiddette tecnologie sensibili.

Senza dar troppo credito alle possibilità di una tregua tra Russia e Ucraina che hanno fatto correre ieri i mercati, la Commissione Ue va avanti sulla strada del rigore. Questa rigidità non è però priva di conseguenze. Rischia infatti di annacquare, se non addirittura annullare, gli effetti benefici sulle esportazioni derivanti dall'alleggerimento del peso, fino a poche settimane fa insostenibile, dell'euro. Se nel maggio scorso flirtava pericolosamente con 1,40 dollari, la moneta unica è scesa nei giorni scorsi sotto quota 1,30 grazie all'inusuale forza con cui, al summit di Jackson Hole, il presidente della Bce ha ventilato un ricorso al bazooka del quantitative easing (l'acquisto di titoli di Stato) per scongiurare il rischio di deflazione, ovvero un calo generalizzato dei prezzi.

Per quanto non ancora del tutto sostenibile (alcuni studi collocano a 1,17 il punto di equilibrio rispetto al biglietto Usa), un rapporto di cambio più soft è una vera manna per chi esporta. Soprattutto per le imprese che hanno rapporti con la Russia, dove il potere d'acquisto di beni stranieri è già stato compromesso dalla svalutazione a doppia cifra del rublo. Un fenomeno cui sono particolarmente sensibili le aziende tricolori che fanno affari con la terra degli Zar: l'Italia è infatti il secondo esportatore europeo verso la Federazione (dopo la Germania). Nel 2013 era stato raggiunto un picco storico, con 10,8 miliardi di euro di merci vendute in Russia, contro i 10,5 miliardi del 2008. Ma il bilancio 2014 rischia di chiudersi con ben altre cifre. Una stima recente della Sace colloca tra i 0,9 e i 2,4 miliardi il possibile danno arrecato al nostro export. La forbice previsionale tiene conto di due possibili scenari: uno favorevole, con una de-escalation del conflitto russo-ucraiano, e uno pessimistico con l'inasprirsi delle tensioni.

La conta dei danni, in ogni caso, è cominciata. Nell'agrolimentare le perdite ammontano a 200 milioni, mentre il turismo - alle prese con un'estate latitante - lamenta una crescita di appena il 2% delle presenze russe sulle nostre spiagge, quando invece in passato l'aumento era del 20%. La ricaduta sui pernottamenti, passati in 5 anni da 3,6 milioni ai quasi otto milioni nel 2013, sarà inevitabile. Il settore della moda, che l'anno scorso ha fatturato 2,3 miliardi grazie alla Russia, guarda con apprensione alla possibile estensione del blocco alle importazioni dall'Europa di diverse categorie di prodotti tessili, dell'abbigliamento, oltre che di pelletteria e calzature. Le nostre scarpe già soffrono: theMicam, la manifestazione internazionale di settore, si è chiusa ieri con il 25% in meno di presenze dei buyer russi.

«Fino a oggi - denuncia il presidente Cleto Sagripanti - possiamo stimare in un 30-40% il calo del giro d'affari verso la Russia, che per noi vale 3 miliardi di euro.

Una flessione preoccupante, soprattutto per il distretto marchigiano della scarpa, che mette a rischio i livelli occupazionali».

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