Economia

Il giudice spegne Ilva: no alla proroga per l'altoforno due

I pm avevano detto sì al rinvio. Il tribunale: «Sicurezza a rischio». Ora ricorso in extremis

Il giudice spegne Ilva: no alla proroga per l'altoforno due

Una schiarita durata meno di 24 ore. Se lunedì il parere positivo della Procura di Taranto aveva riacceso le speranze sulla possibilità di tenere acceso l'altoforno 2 ieri, a strettissimo giro di posta, il giudice del dibattimento Francesco Maccagnano ha ufficializzato la sua decisione, che è di segno opposto rispetto a quella colleghi.

La seconda sezione penale del Tribunale di Taranto ha negato la proroga chiesta da Ilva in amministrazione straordinaria per prolungare l'uso dell'altoforno (da parte di ArcelorMittal) al fine di fare gli ulteriori lavori di sicurezza.

Ora inizia una corsa contro il tempo. Da una parte c'è la scadenza del 13 dicembre, ultimo giorno utile per mettere a norma gli stabilimenti, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza del lavoro. Dall'altra il ricorso al Tribunale del riesame da parte dei commissari, annunciato ieri sera subito dopo la notizia del no alla proroga. Se anche il tentativo di ottenere un nuovo rinvio sarà respinto, inizieranno le procedure per spegnere il cuore dell'impianto siderurgico pugliese: prima il sequestro poi l'avvio delle procedure tecniche per rendere non operativo l'altoforno.

La sentenza rileva come l'opera di «bilanciamento degli interessi» tra sicurezza del lavoro e produzione «non possa essere ulteriormente proseguita». I precedenti rinvii hanno comportato l'accettazione di un rischio che ora è «palesemente ingiustificabile» visto che sono passati 14 mesi dall'ultima proroga, ma che il vincolo di messa in sicurezza non è stato applicato da «4 anni tre mesi e 6 giorni».

Una sentenza di morte per l'altoforno, visto che lo spegnimento è una procedura praticamente irreversibile. Se lo stop si prolunga per più di due settimane l'impianto diventa inutilizzabile, poco efficace in casi di riaccensione, a rischio di emissioni ancora più inquinanti rispetto alle attuali.

Il no all'istanza di sospensione è arrivato in un momento delicato. Il governo sta ancora trattando con Arcelor Mittal e sta studiando possibili interventi (inevitabilmente con capitale pubblico) a condizione di ottenere dal colosso franco indiano condizioni favorevoli.

Proprio ieri i dipendenti dell'ex Ilva di Taranto hanno scioperato. Fiom, Fim e Uilm hanno bloccato gli stabilimenti del gruppo. L'adesione è stata del 90% a Genova e Novi Ligure, a Racconigi al 100%, come a a Padova e Marghera. Lo sciopero, iniziato alle 23 di lunedì si concluderà alle 7 di questa mattina.

Il segretario generale della Cisl Annamaria Furlan era a Siracusa. «Ci sono 300 mila posti di lavoro a rischio con le vertenze in atto». L'auspicio della sindacalista è che il governo crei le condizioni per chiudere le crisi. «Fino ad ora non l'ha fatto, anzi nel caso specifico dell'Ilva abbiamo assistito ad un dibattito sullo scudo penale, che prima entrava poi usciva, e nel frattempo la società privata, con un cinismo unico, ha dichiarato oltre 6 mila esuberi. Loro litigano e sul tavolo rimangono i licenziamenti».

Per il ministro dello Sviluppo, l'interesse del governo è «avere una prospettiva per cui a Taranto si continui a produrre acciaio ma non dal carbone, limitando in modo massiccio le emissione».

Ma ora c'è anche la prospettiva dello spegnimento.

Per i sindacati, rischia di essere «l'ultimo tassello di una trattativa sempre più in salita, che vede allontanarsi una soluzione».

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