Politica

La giungla delle lobby. Settant'anni buttati senza fare una legge

Il caso Guidi fa riesplodere la polemica sui faccendieri in Parlamento. È dal 1948 che la politica prova a regolarne l'attività. Inutilmente

La giungla delle lobby. Settant'anni buttati senza fare una legge

Lobbisti senza legge. Il tentativo di cavalcare il «caso Guidi» per rafforzare la partecipazione referendaria è fallito. Il problema della regolamentazione delle lobby resta, però, di scottante attualità.

L'ultimo «invito» a fare presto arriva in queste ore da «Riparte il futuro», uno dei principali soggetti animatori della piattaforma che punta a un Freedom of information act italiano e ad applicare il massimo della trasparenza anche al grande mercato delle influenze. «Visto il recente scandalo che ha toccato il ministro dello Sviluppo economico» evidenzia Federico Anghelè «il tema della rappresentanza degli interessi dovrebbe balzare in cima all'agenda politica. E invece il testo base sulla regolamentazione dell'attività di lobbying proposto dal senatore Orellana è ancora fermo in Commissione Affari Costituzionali e il termine per gli emendamenti viene continuamente posticipato».

La richiesta di avere una legge sui lobbisti viene sollevata dall'inizio della Prima Repubblica. L'obiettivo è sempre lo stesso: individuare chiaramente chi sono, a chi si rivolgono, con quali mezzi cercano di influenzare la politica e quali sono i loro obiettivi. «L'opacità minaccia la qualità delle nostre leggi e favorisce fenomeni di corruzione e conflitti d'interessi». Per questo, spiegano, bisogna scuotere il governo e puntare a un intervento organico. Qualcosa di recente si è mosso a Montecitorio. La Giunta per il regolamento ha approvato la proposta di Pino Pisicchio, un codice etico meritorio che però si applica ovviamente solo alla Camera e non a tutte le istituzioni sulle quali la pressione dei lobbisti può essere esercitata (Senato, governo, ministeri, autorità indipendenti, regioni). La novità principale è il «registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati», pubblicato sul sito Internet della Camera.

L'aspetto particolare e paradossale è che sono gli stessi lobbisti a spingere per una seria regolamentazione del loro lavoro. «Veniamo periodicamente convocati in audizione in Parlamento» spiega Andrea Morbelli di Open Gate Italia. «Spieghiamo sempre la stessa cosa, ovvero che è fondamentale registrare tutti i portatori di interessi, dalle associazioni di categoria ai sindacati fino alle Onlus. Tutti devono essere censiti. Sono queste le regole che vengono adottate nel resto del mondo. Basta con l'amico del giaguaro e con le figure borderline. Bisogna distinguere tra il faccendiere, quello che vanta o millanta amicizia all'insegna dell'«a Fra' che te serve» e il lobbista che presenta studi e analisi per dialogare con le istituzioni essendo credibile come consulente strategico. Il paradosso è che ci siamo potuti registrare al Parlamento europeo, ma non in Italia».

Sul tema, nell'attuale legislatura, sono stati presentati 18 progetti di legge. Dal 1948 al 2012, dalla I alla XVI legislatura, i disegni di legge in materia sono stati ben 51. Nessuno di questi è stato mai approvato e solo 6 sono stati esaminati dalle Commissioni competenti ma mai discussi in Assemblea. Molti movimenti si battono per la costituzione di un registro pubblico dei lobbisti e c'è anche chi chiede una agenda pubblica degli incontri tra politici e lobbisti dove ognuna delle parti sia vincolata a comunicare i dati relativi agli incontri svolti e i temi in discussione. Al Senato si riflette anche su come rendere pubblici gli emendamenti presentati in Commissione.

I lobbisti - le società principali oltre Open Gate, sono Cattaneo & Zanetto, Reti, FB & Associati, Comin & Partners e Utopialab - non nascondono il sospetto che l'apparente impossibilità del legislatore di uscire da questa zona grigia serva a tutelare interessi consolidati. L'idea di fondo è che si voglia considerare legittimo e riconosciuto solo chi viene dal passato, sindacati in primis.

Rifiutando di accettare che il piccolo mondo antico del Novecento è finito e il mondo della rappresentanza è definitivamente cambiato.

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