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Giustizialisti a intermittenza: M5s salva subito il governo

Salvini: "Arata mai consulente". Di Maio svicola, Dibba non morde. E Morra lo convoca in Antimafia ma si scusa

Giustizialisti a intermittenza: M5s salva subito il governo

Il caso Arata, paradossalmente, inguaia i Cinque Stelle persino più della Lega.

Tanto che, dopo la raffica di arresti e accuse, il ministro del Carroccio Gianmarco Centinaio può permettersi di assicurare serafico che «non ci sarà nessuna ripercussione per il governo». Già: nel partito della Casaleggio sono subito partiti i frenatori, con l'obiettivo prioritario di evitare scossoni alla zattera dell'esecutivo, cui i grillini sono appassionatamente aggrappati.

Il messaggio subliminale all'alleato Matteo Salvini, finito nel polverone dell'inchiesta, è chiaro: tranquillo, giammai useremo questa vicenda contro di te. Anzi: ti vogliamo bene come prima e più di prima.

Che i tempi della campagna elettorale e delle frementi invettive di Luigi Di Maio e compagni contro la Lega per il caso Siri, nella speranza di rubare voti al partito fratello, siano ben lontani si capisce già in mattinata. Quando compare su Facebook un confuso post di Alessandro Di Battista, che solitamente viene usato come corpo contundente e lanciato oltre le linee nemiche. Stavolta, invece, il povero Dibba deve arrampicarsi agilmente sugli specchi: un po' fa roteare una generica clava giustizialista, per rassicurare i fan manettari: «Ricapitoliamo: l'ex-responsabile energia della Lega, Paolo Arata, è stato arrestato per una brutta storia di mazzette sulle rinnovabili. Anche uno dei suoi figli è finito in carcere, l'altro ha ottenuto un contratto a Palazzo Chigi grazie a Giorgetti. Ad ogni modo questo è il sistema che dobbiamo combattere, e onestamente, lo stiamo facendo». Combattere, si suppone, restando alleati con Giorgetti. Tant'è che due righe dopo il prode Ale verga la frase clou, secondo raccomandazioni della Casaleggio: «Lo ripeto - asserisce - il governo vada avanti, perché c'è un contratto da rispettare con ottime proposte da realizzare». E conclude con un lungo pistolotto volto a stabilire che ad essere «corrotti» e a fare «schifezze» non sono certo gli amici leghisti, ma il Pd e Forza Italia, dall'opposizione.

All'acrobatico salto mortale di Dibba seguono le vaghe dichiarazioni di Gigino Di Maio: «La puzza di bruciato si sentiva da lontano», l'importante è che «la politica sappia subito prendere le distanze». Manca solo la notazione che non ci sono più le mezze stagioni.

All'improvviso, una stecca: Nicola Morra, luogotenente di Fico promosso a presidente della Commissione Antimafia, annuncia urbi et orbi di aver convocato Salvini, con «lettera ufficiale», per audirlo «urgentemente» sulla questione mafia: «La lettera ufficiale è solo l'ultimo passaggio che oggi, anche alla luce dei nuovi arresti in Sicilia, mi vede costretto a renderlo pubblico e ribadire l'urgenza dell'audizione del ministro Salvini».

Sembra un colpo basso al capo della Lega. Ma bastano poche ore (e un giro di telefonate o sms facile da immaginare: Salvini a Casaleggio, Casaleggio a Di Maio, Di Maio a Morra) e si assiste a uno spettacolare dietrofront: «A scanso di ogni equivoco - si precipita a precisare Morra - la richiesta di audizione del ministro Salvini rientra nelle normali audizioni che tutti i ministri devono svolgere nelle commissioni parlamentari di riferimento per illustrare le loro linee guida, ed è precedente ai fatti odierni». Niente processo, niente domande imbarazzanti sul caso Arata: solo una relazione istituzionale sulla fiera lotta del ministro alla mafia. Salvini ringrazia soddisfatto: «Ma certo che andrò in commissione Antimafia». Quanto alla vicenda Arata, il ministro minimizza: «L'arresto? Non commento le inchieste, i magistrati avranno avuto i loro buoni motivi. Arata ha partecipato a un solo convegno da noi organizzato, e me lo ritrovo consulente della Lega. Non lo è. Me lo presentarono come professore universitario, non ricordo chi sia stato a presentarmelo».

E poi al Tg2 aggiunge: «Ricordo che in Italia siamo presunti innocenti sino a prova contraria».

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