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Il governo dei fannulloni fa decadere 100 decreti

Lega e M5s litigano e bloccano tutto: varato solo il 16,4% dei provvedimenti in scadenza a marzo

Il governo dei fannulloni fa decadere 100 decreti

Il braccio di ferro quotidiano che accompagna Movimento cinque stelle e Lega verso le elezioni europee, trascina il governo nella paralisi. Insieme con le riforme che erano state annunciate e poi inserite nella combattuta legge di bilancio. Molte sono rimaste in questi mesi sulla carta, nonostante il loro via libera «formale» in manovra. Manca infatti una mole consistente di decreti attuativi necessari, anzi indispensabili, a rendere effettivamente operative quelle misure.

Secondo i dati dell'Ufficio studi della Camera, dei 168 decreti necessari per realizzare l'ultima manovra, 143 devono ancora vedere la luce. Solo il 16,4 per cento dei provvedimenti governativi che dovevano essere adottati entro il 31 marzo è stato realmente varato: appena 30 decreti.

La legge di bilancio prevedeva un «termine di adozione fino al 1° aprile 2019 per 67» dei 155 provvedimenti governativi: c'erano, dunque, 90 giorni di tempo per licenziarli. Eppure secondo il focus di «Check Point promesse», che monitora l'attività del governo, per ben cento di questi decreti sono già scaduti i termini. Parliamo di quasi il 60% sul totale.

Tra questi «dieci sono stati sì emanati, ma in ritardo sui tempi». L'Osservatorio sulle promesse dell'esecutivo fotografa la produttività dei singoli ministeri: quelli con più lavoro arretrato sono il Mef - con 26 decreti da emanare in autonomia e ben 43 di concerto con altri - seguito dal ministero dello Sviluppo economico di Luigi Di Maio con 15 decreti ancora fermi e dal ministero del Lavoro, sempre guidato dal leader grillino, con 11 provvedimenti. Anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha del lavoro arretrato, con 27 decreti rimasti indietro.

Succede così, per esempio, che nonostante i buoni propositi per rilanciare gli investimenti, il governo abbia lasciato scadere i termini per avviarli. Nonostante infatti la legge di bilancio abbia previsto una dotazione di 740 milioni di euro per il 2019 - e fino a 3 miliardi annui fino al 2033 - nel Fondo investimenti amministrazioni centrali, di fatto quegli investimenti restano solo virtuali. «Entro il 31 gennaio 2019, secondo quanto previsto dalla legge, il presidente del consiglio avrebbe dovuto emanare uno o più decreti di attuazione: finora, invece, è stata solo predisposta negli ultimi giorni una bozza, trasmessa alle Camere, e quindi gli investimenti continuano a essere assolutamente fermi», scrive Check point. E ferma, di fatto inattuata, c'è anche l'individuazione «degli immobili di proprietà dello Stato in uso al ministero della Difesa, diverso dall'abitativo, non più necessari alle proprie finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione, da inserire nel piano di dismissioni immobiliari». Piano che rientra in quei 18 miliardi di privatizzazioni su cui il governo punta per ridurre il debito pubblico e rientrare nei parametri richiesti da Bruxelles.

Ma nel limbo sono rimaste anche, a dispetto degli annunci, le piante organiche degli uffici giudiziari in perenne crisi di personale, i concorsi pubblici unici, i criteri per l'assunzione di 35 dirigenti carcerari. E poi la nuova disciplina del fondo politiche per la famiglia, l'anagrafe nazionale vaccini e così via.

Scaduti anche i termini per i decreti con cui ripartire le risorse destinate all'assunzione di ricercatori, quelle per la riduzione delle liste di attesa per le prestazioni sanitarie, per il finanziamento dell'assegno di ricollocazione e per la carta europea della disabilità.

Intanto si continua a litigare.

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