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Il "grande incubo" di Renzi: un Pd che appoggi il M5s

La convinzione dell'ex premier: Veltroni e Franceschini registi del ribaltone. Colloquio con Minniti dietro le quinte

Il "grande incubo" di Renzi: un Pd che appoggi il M5s

Roma «Già, tra i due c'è questo feeling inspiegabile... Sicuramente si parlano, si sentono». I «due» sono Matteo & Matteo, l'ex premier Renzi e l'attuale vicepremier Salvini. E a descrivere il loro «strano feeling» è un ex membro del governo di centrosinistra, in un angolo della Leopolda. Che racconta di un Renzi che dà consigli (bene accetti) a Salvini su come tenere «sotto pressione» gli alleati Cinque Stelle, usando carota e bastone col più giovane e inesperto Di Maio. A che pro?

Le spiegazioni che si raccolgono alla affollatissima Leopolda dell'opposizione sono più o meno univoche: il «grande incubo» dell'ex segretario Pd è che, se la maggioranza gialloverde implodesse sotto i colpi del prossimo terremoto con la Ue e sui mercati, si riapra il «circo della maggioranza alternativa», quella dei grillini con l'appoggio del Pd. La convinzione renziana è che a questo lavori un pezzo del suo partito, quello che fa capo a un silenziosissimo Dario Franceschini e a svariati altri ex ministri, con l'avallo di Walter Veltroni e di altri esponenti che già avevano teorizzato la necessità, per «senso di responsabilità», di rompere l'alleanza populista offrendo sponda alla sua parte più condizionabile. «Se si arrivasse davvero a una crisi, per il momento improbabile - ragiona un senatore renziano - dovremmo fare i conti anche con Mattarella, che avrebbe molta maggiore forza per imporci una scelta per evitare elezioni destabilizzanti».

La tattica della fibrillazione costante, suggerita a Salvini, avrebbe quindi l'obiettivo di logorare lentamente i Cinque Stelle, tenendoli inchiodati ad un'alleanza che finisce per indebolirli agli occhi del loro elettorato. In attesa di regolare i conti in casa Pd: ieri, alla Leopolda, ha fatto la sua comparsa l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, al momento il più probabile candidato «renziano» alla segreteria del Pd. Personaggio law and order sicuramente lontano da tentazioni filo-grilline, e quindi potenziale baluardo contro quella deriva. A Firenze Minniti non è intervenuto dal palco, ma ha avuto un lungo colloquio dietro le quinte con Renzi. Senza sciogliere la sua riserva sulla candidatura: «Finché non c'è la data del congresso, non decido». Renzi sa bene che una larga parte dei suoi è in rivolta contro la candidatura di un ex dalemiano di formazione post-Pci: «Tra lui e Zingaretti torneremmo dritti ai Ds, e finiremmo emarginati», dicono. Così l'inconfessata speranza è che, alla fine, il congresso non si faccia. E la clamorosa bocciatura della manovra del governo da parte della Ue, con conseguente tempesta sui mercati, potrebbe offrirne la ragione, se non l'alibi. L'ex premier ha proposto venerdì la sua «contromanovra» per evitare che il Paese «si rompa l'osso del collo». E confida dal palco della Leopolda: «Nel prepararla, io e Padoan abbiamo litigato come quando eravamo ancora al governo, perché io ero per alzare il deficit e lui no».

Intanto, dalla Leopolda, Renzi lancia anche i «comitati civici» per andare «oltre il Pd», in vista delle Europee. «In Italia è sotto attacco la democrazia liberale», spiega Ivan Scalfarotto, «e su temi come libertà di stampa, razzismo e stato di diritto non può esserci distinzione tra elettorati di Pd, Forza Italia o anche Leu». Un modo per aprire a quella parte liberale del centrodestra che si ribella alla deriva populista.

E una carta di riserva che Renzi si tiene: secondo alcuni autorevoli sondaggisti consultati, un partito «renziano» aperto anche a quei mondi liberal-democratici, può avere un potenziale tra l'8 e il 15 per cento alle Europee.

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