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Grandi manovre a Palazzo: gli indizi che portano al voto

Nessuno ne parla, ma i partiti si preparano alle urne. A partire dalle mance elettorali infilate nel dl Crescita

Grandi manovre a Palazzo: gli indizi che portano al voto

Come andrà a finire lo sapremo davvero solo a fine luglio, quando si sarà inesorabilmente chiusa la finestra elettorale che consente di tornare al voto la prima domenica di ottobre, termine ultimo per affrontare la sezione di Bilancio con un governo in grado di approvare la manovra prima del 31 dicembre. Fino ad allora si continuerà a ballare, come accaduto anche ieri tra un aut aut di Matteo Salvini sulle tasse («o le abbassiamo o lascio») e la piccata risposta di Luigi Di Maio («se cerca scuse per provocare una crisi, allora lo dica»). E, nel caso, si continuerà a navigare a vista anche dopo, perché nel Palazzo tira ormai un'aria da fine impero. Non è un caso che tutti i partiti si stiano muovendo da giorni come se lo show down fosse imminente e le elezioni anticipate una questione solo di pochi mesi. Che sia ottobre o magari nell'autunno del 2020 cambia poco. Con buona pace delle smentite pubbliche di chi ha davvero in mano i destini di questa partita (ieri quelle di Salvini e poi del premier Giuseppe Conte), in Transatlantico sono tutti convinti che il voto anticipato sia uno scenario più che plausibile. D'altra parte, basta mettere in fila dichiarazioni e i movimenti degli ultimi giorni - sia nella maggioranza che tra i partiti d'opposizione - per avere una conferma di quale sia il clima in Parlamento.

LA MAGGIORANZA I due partiti che hanno in mano i destini del governo, infatti, non solo continuano ad azzuffarsi ogni giorno, ma anche nei passaggi parlamentari sembrano ragionare come se il ciglio del burrone fosse a un passo. Il dl Crescita, per esempio, è passato da 50 a oltre 110 articoli finendo per diventare un omnibus pieno di quelle che un tempo - prima dei fasti dell'autoproclamato «governo del cambiamento» - sarebbero state bollate come «mance elettorali». Dalla rottamazione delle cartelle all'Imu per i capannoni industriali, passando per Alitalia e chi più ne ha più ne metta. Insomma, non certo un bel segnale.

LA LEGA & IL M5S D'altra parte, Salvini continua a pigiare sull'acceleratore e non perde occasione per affondare su quelli che considera i suoi temi chiave. Ieri ha buttato lì che o si trovano dieci miliardi per finanziare uno shock fiscale, oppure lui prende la porta e se ne va. Insomma, per usare un'espressione cara ai post su Facebook del ministro dell'Interno, «bacioni». Sul fronte opposto, il M5s è in grande agitazione per le mosse di Salvini. Il voto anticipato, ovviamente, è visto come fumo negli occhi perché il 32,6% del 2018 oggi è solo un miraggio lontano. Così, ci sta che due giorni fa Alessandro Di Battista abbia proposto la deroga alla regola del secondo mandato se «il governo dovesse cadere prima del 15 luglio». Una mano tesa a Di Maio (che di legislature ne ha fatte due) per «liberarlo» dal ricatto della Lega. È evidente, infatti, che con la certezza di non poter essere ricandidato il leader M5s continuerà a sottostare a qualunque diktat pur di non far cadere il governo.

IL PD Ma i movimenti sono anche sul fronte dell'opposizione. L'intervista ad Huffington post di Antonio Giacomelli che apre al confronto con il M5s perché «il Pd non può autoescludersi a vita» porta sotto i riflettori un dibattito che tra i dem è in corso da tempo. E che guarda proprio a eventuali elezioni anticipate. Se davvero si votasse di qui a pochi mesi, correre da solo per il Pd significherebbe consegnare la vittoria al centrodestra a trazione Salvini ancora prima di entrare in cabina elettorale. Di qui la necessità di mettere il tema sul tavolo, nonostante sul punto i dem siano fortemente divisi.

FORZA ITALIA E anche dentro Forza Italia sono iniziate le grandi manovre. Con Silvio Berlusconi che due giorni fa ha dato il via libera al ticket tra Mara Carfagna e Giovanni Toti come coordinatori del partito, arrivando persino ad aprire all'ipotesi di «consultazioni popolari». Per il Cavaliere - chiedere ad Angelino Alfano per conferme - una vera e propria rivoluzione. Che ha l'obiettivo di tenere insieme un partito che nelle ultime settimane era sempre più diviso tra filo e anti Salvini. La mossa di Berlusconi, insomma, è il primo passo per sanare la spaccatura, mettendo allo stesso tavolo Carfagna (da tempo critica verso il vicepremier) e Toti (che invece con il leader della Lega ha un rapporto preferenziale).

Un modo per tenere insieme tutto e tenersi pronti ad ogni evenienza.

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