Politica

Il grido delle guerriere curde che fa tremare gli jihadisti

Diecimila soldatesse senza paura combattono per «vita, femmine e libertà»: tutto quello che i fanatici dell'Isis odiano e non capiscono

Tululu: si chiama così in curdo, la notte il villaggio occupato dall'Isis lo sente e trema, è l'urlo di guerra delle donne, il gorgheggio, la nota di disprezzo, il laleggio che le guerriere curde di notte lanciano come animali da preda verso gli uomini dell'Isis nei villaggi fra la Siria e l'Iraq dove il confine non esiste più e esiste solo invece l'orma sanguinolenta dello Stato Islamico, che ha decapitato, ucciso col colpo alla nuca a migliaia, infilzato sulle picche le teste dei bambini.

I terroristi tremano, si narra: il «tululu» gli promette due cose: «vi uccideremo» è la prima, e la seconda dice: «Il vostro credo vi promette 72 vergini in paradiso se verrete uccisi in guerra come martiri di Allah, shahid . Però vi dice anche: se morirete per mano di donna è scritto che non potrete entrare in paradiso. Rosolerete all'inferno per sempre». E le ragazze, in divisa verde, con la bandiera curda rosso-mattone bianca e verde col sole nel mezzo, sono là per questo: per ucciderli col kalashnikov che ciondola loro dalle spalle di adolescenti accanto alla treccia lucida e nera, per terrorizzarli e stanarli pronti per lo sguardo di disprezzo e il fucile di una ragazza di 17 anni; una donnetta che i testi sacri promettono a ogni combattente come schiava sessuale, un oggetto da trascinare via dalla sua casa, vendere e comprare, o semplicemente stuprare, picchiare, uccidere.

Ma le guerrigliere curde, un terzo dell'esercito, l'Ypj (Unità di Protezione delle Donne, Yekineyen Parastina Jine) parte del Ypg, ovvero il braccio armato della coalizione curda che ha preso il controllo di un bel pezzo della Siria del Nord (detto Rojava), sono fra le settemila e le diecimila soldatesse, affascinanti e spaventose: hanno fra i 17 e i 40 anni, sono tutte volontarie. Quando scegli questa strada è per la vita, lasci la famiglia per sempre, la tua mamma piange ogni volta che la visiti e poi riparti da casa con un addio che forse è per sempre, che non avrai nè marito nè figli, che il tuo letto sono la polvere e i sassi, il tuo cibo quello che capita. L'Yjp con l'Ypg in questi giorni sono l'unica forza a dare veramente del filo da torcere ai terrificanti terroristi dell'Isis.

Kobane, la città più disputata, è stata riconquistata con l'intervento decisivo delle donne guerriere secondo tutte le cronache; gli Yazidi assediati, affamati, decimati nei villaggi sulle montagne, sono stati salvati e l'Isis messo in fuga con l'intervento decisivo dell'Ypj. Il loro grido di guerra dice «Vita, Donne, Libertà» cioè tutto quello che Isis odia. «Noi combattiamo per la vita, loro per la morte - dice una di loro, Joan Zuidi di 20 anni -. Loro odiano le donne, e la nostra battaglia invece dimostra non solo a loro, ma a tutto il Medio Oriente e anche a tutto il mondo che noi possiamo essere meglio degli uomini persino in battaglia. Abbiamo tre scopi: innanzitutto impedire che le donne vengano seviziate, rapite, vendute; liberare le prigioniere; vendicare quelle che hanno torturato e ucciso, o le cui teste sono state infilzate sulle picche, e purtroppo sono decine. Ognuna di noi piange un'amica o una parente. La libertà è il nostro grande fine: io so per cosa combatto, e so farlo, e in più ho un scopo nobile, lui non lo ha».

I curdi sono ben 35 milioni, forse l'unico popolo così numeroso a non avere ancora un suo Stato autonomo. Il Kurdistan iracheno ne raccoglie una parte. La situazione attuale mentre ne aumenta i rischi giorno dopo giorno, aumenta anche le possibilità che i curdi siriani, iracheni, turchi, iraniani, possano finalmente trovare una strada verso uno Stato unitario. La loro è una forza che per la maggioranza sunnita è tuttavia scevra da integralismo islamico, il governo regionale del Kurdistan guarda decidamente all'Occidente e anche a Israele come a un modello da seguire e comunque a un interlocutore. Le ragazze curde hanno la testa scoperta e i capelli al vento, ballano le danze tradizionali insieme ai maschi, i soldati condividono il servizio con ammirazione.

Un giornalista israeliano, Itay Engel, è riuscito a intervistare una generalessa famosa e inseguita dallo Stato Islamico: Media ha un sorriso duro e dolce allo stesso tempo, una specie di John Wayne donna con la kefia arrotolata sui capelli biondi, che dice quieta: «Il mio compito è fornirgli un biglietto di sola andata per l'inferno». Paura, non l'ha mai avuta: «Loro hanno il kalashnikov, io ho un kalashnikov, io lo uso meglio di loro, le mie ragazze conoscono la guerriglia a fondo, loro sono ignoranti, pensano di terrorizzare tutti con la loro ferocia ma sono molto più incapaci e impauriti di quello che si crede».

Insomma, al tululu bisogna far seguire i fatti, e noi occidentali possiamo invidiare Media: lei sa come fare.

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