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«Grinzane Cavour», tremano i big Pd

«Grinzane Cavour», tremano i big Pd

Un sistema ai confini dell'illegalità. Contributi in nero. Viaggi verso mete scintillanti a spese del contribuente. Pagamenti sottobanco. Favori in un reticolo di rapporti. C'era di tutto dietro la vetrina prestigiosa del Premio «Grinzane Cavour », uno dei marchi più robusti della cultura letteraria italiana. Un logo che produceva manifestazioni e premi a raffica, sotto la regia del presidente Giuliano Soria. A quasi sei anni di distanza dalla sua rovinosa caduta, Soria torna in aula, in corte d'appello, per alzare il sipario su quel sistema. E per proporre ai magistrati piemontesi una serie di nomi eccellenti che ebbero rapporti con quel mondo: l'ex governatrice e oggi europarlamentare del Pd Mercedes Bresso, l'ex assessore regionale alla Cultura Gianni Oliva, storico e autore di numerosi libri, l'attuale presidente della regione Sergio Chiamparino, fino a pochi giorni fa fra i candidati al Quirinale.

Soria verrà ascoltato questa mattina e dovrebbe fare quei nomi, illustrare alcuni episodi, parlare del contesto dorato in cui si organizzavano trasferte lussuose all'estero, pranzi stellati, happening aperti agli amici degli amici. Il Grinzane calamitava scrittori di grido e premi Nobel, il Grinzane distribuiva doni e contributi ai pezzi da novanta della nomenklatura rossa, era generoso anche con gli amici del centrodestra, e poi con giornalisti, dirigenti del ministero dei Beni culturali, attori.

Difficile, alla vigilia, pesare le dichiarazioni di Soria ma certo si annuncia un piccolo terremoto. «Il Grinzane - si è sempre sfogato lui in questi anni di solitudine e polvere - era una colpa collettiva, invece mi hanno addossato tutte le responsabilità». Non era così. E dunque Soria ha deciso di sfruttare l'opportunità dell'appello per mettere i puntini sulle i. Leggerà la memoria che ha preparato e per contestualizzare le proprie responsabilità inevitabilmente punterà il dito in numerose direzioni. Si soffermerà su alcune circostanze e darà la propria versione: un festa fiabesca organizzata a San Pietroburgo, al teatro tedesco, in occasione del compleanno della Bresso, con duecento invitati e un'orchestra a disposizione. E ancora un contributo a suo dire non regolarizzato, destinato a Chiamparino, per alcune migliaia di euro. A seguire un carosello di buste, spedizioni all'estero senza risparmio, e via elencando in un andirivieni di nomi, a cominciare dall'allora assessore alla cultura Gianni Oliva. In qualche modo l'intendimento di Soria, difeso da due principi del foro, Luca Gastini e Aldo Mirate, è quello di disegnare una sorta di affresco di quella realtà che allora tutti consideravano un vanto per il Piemonte. Chiudendo gli occhi davanti alle pagine oscure.

Poi tutto precipitò. Soria viene arrestato il 21 marzo 2009 e condannato in primo grado alla pena pesantissima di 14 anni e 6 mesi per la gestione disinvolta di 4,5 milioni di finanziamenti pubblici. Ora proverà a descrivere le ramificazioni e le connessioni di quel piccolo impero culturale che il mondo invidiava. Molti fatti, ammesso che abbiano un profilo penale, potrebbero già essere prescritti. E dunque restare senza conseguenze. Si vedrà in aula. Soria si è preparato con puntiglio all'appuntamento, ma questo naturalmente non vuol dire che la sua testimonianza sia considerata credibile a scatola chiusa. La corte d'appello ha però tutto l'interesse a chiarire, nei limiti del possibile, il funzionamento di quei meccanismi e dunque valuterà con pazienza e prudenza le parole dell'ex presidente.

Prima della requisitoria affidata al sostituto procuratore generale Vittorio Corsi.

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