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È guerra delle poltrone. La mossa dei dem: "Nessun vicepremier"

Il Pd: "Sacrificio per sbloccare la trattativa". Ma si apre subito il nodo sottosegretario

È guerra delle poltrone. La mossa dei dem: "Nessun vicepremier"

«Un altro contributo del Pd per sbloccare la situazione». Così Nicola Zingaretti definisce la mossa con cui ieri i dem hanno levato dal tavolo la questione vicepremier, che stava diventando il pretesto per la guerriglia ossessiva di Gigino Di Maio contro l'intesa con i dem e la nascita di un governo senza il suo adorato Salvini.

Il tweet con cui Dario Franceschini, candidato alla carica di vicepremier unico del premier grillino Conte, ha annunciato che la carica tanto ambita da Di Maio andava cancellata è stato prontamente rilanciato da Paolo Gentiloni, Andrea Orlando e dallo stesso segretario dem. Si tratta, come lascia intendere lo stesso Zingaretti, di un modo per bypassare l'arrocco disperato di Gigino, sbloccando la strada verso una rapida soluzione della crisi, sollecitata anche dal Colle. Ma si tratta anche di un nuovo rospo da ingoiare per i dem. Che si trovano davanti non solo le crisi esistenziali del capo politico «ormai in declino», come dice Zingaretti, dei Cinque Stelle; non solo il gommoso Conte che non è in grado di imporre la propria volontà e che pur di non avere grane insisteva per dare a Di Maio quel che pretendeva, «così lo neutralizziamo». Ma anche la fronda interna, che mina i tentativi del Nazareno di mettere alcuni paletti non aggirabili all'eterno tira e molla sul governo. «È veramente complicato provare a fare una trattativa se c'è un pezzo di partito che ti sabota», è sbottato il leader dem con i suoi. Il riferimento è a Renzi e ai suoi, che dopo aver insistito e alla fine imposto il cedimento sulla premiership a Conte, da giorni insistono anche per dare a Gigino il posto di vice cui ambisce. Con le stesse motivazioni di Conte: così lo si fa contento, con una carica che conta pochissimo, e non lo si ha fuori come mina vagante contro il governo.

Ieri il Pd si è trovato davanti al segnale chiaro che Giuseppe Conte non è in grado di dare la linea al suo governo in fieri e rifugge da qualsiasi decisione scomoda, come quella che sta bloccando tutto da giorni. «Da come finirà sui vicepremier si capirà se conta più il premier o Di Maio», dicevano sabato al Nazareno. Domenica, quando l'ineffabile Conte, pavoneggiandosi alla festa del Fatto, ha abiurato alla sua provenienza grillina, i dem hanno capito che fare affidamento su Conte è come sperare nel decisionismo di Ponzio Pilato. «Non sono iscritto al M5s, non partecipo alle riunioni del gruppo dirigente, non ho mai incontrato i gruppi parlamentari: definirmi dei 5 stelle mi sembra formula inappropriata», ha cinguettato giulivo il premier selezionato dalla Casaleggio. Facendo crollare, con notevole sfacciataggine, il teorema dem: se il premier è M5s, il vice deve essere uno solo, e nostro. Un segnale preoccupante per il Nazareno, dove si sperava che Conte fosse in grado di esercitare una sua autonoma leadership. Ora il terreno di scontro si sposta già su un'altra figura chiave, che - Di Maio ovviamente non se ne è accorto - conta assai più di un vicepremier: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, silenzioso regista di gran parte delle scelte di governo. Franceschini, che a differenza di Gigino conosce la macchina dell'esecutivo, è in pole position, ma i grillini pretendono il raddoppio delle poltrone anche qui. Intanto in casa Cinque stelle cresce l'esasperazione contro Di Maio che «continua a tenerci in ostaggio per la sua sete di potere, e sta sabotando tutto per interessi personali», come si legge nei messaggi scambiati nella chat dei parlamentari grillini.

E c'è chi avverte: lo scontato voto pro-governo su Rousseau servirà a dare a Di Maio «la botta definitiva».

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