Politica

Guerra legale anche in Italia sui risarcimenti ai fumatori

A Milano azienda condannata a pagare i danni ai familiari di una vittima delle bionde. I produttori respingono le accuse

New YorkI produttori di tabacco tremano: dopo il risarcimento record da 23,6 miliardi di dollari che il colosso delle sigarette statunitense Reynolds American dovrà pagare alla vedova di un fumatore morto di cancro ai polmoni nel 1996, un nuovo schiaffo arriva dal Tribunale civile di Milano. I giudici hanno condannato la British American Tobacco Spa a versare poco meno di un milione di euro alla moglie e ai tre figli di un uomo deceduto per tumore 10 anni fa, dopo aver fumato in media un pacchetto e mezzo al giorno per una quarantina di anni, pari a circa un milione di sigarette. Il fumatore è morto «a seguito della neoplasia polmonare asseritamente riconducibile al consistente consumo di sigarette fin dall'età di 15 anni» e per il Tribunale di Milano a pagare deve essere chi non lo ha avvertito adeguatamente dei rischi che stava correndo, ossia la British American Tobacco (che ha acquistato l'Ente tabacchi italiani). Il magistrato ha inoltre preso in considerazione il fatto che solo nel 1991 - quando è diventato obbligatorio per legge - sui pacchetti delle «bionde» sono apparse le scritte e al loro interno i foglietti illustrativi con l'avvertenza dei danni provocati dal fumo.

L'ufficio legale di British American Tobacco Italia afferma che «Bat Italia ribadisce la sua estraneità a fatti anteriori al 1991 e ricorrerà immediatamente in appello». La società si dice fiduciosa poiché «tutte le precedenti sentenze hanno escluso la responsabilità dei produttori di sigarette perché hanno ritenuto che i fumatori, anche prima dell'introduzione delle avvertenze sui pacchetti, erano consapevoli che fumare nuoce alla salute». Il verdetto è ben lontano dal maxi-risarcimento da oltre 23 miliardi di dollari deciso dalla giuria della Florida, ma secondo uno dei due legali della famiglia del fumatore «è un provvedimento pilota che farà discutere». Negli Usa invece il caso è uno delle centinaia presentati nel Sunshine State dopo che nel 2006 la Corte Suprema dello Stato ha respinto il verdetto da 145 miliardi di dollari della class action contro la Reynolds (che produce tra gli altri il marchio Camel) aprendo di fatto la strada ai singoli di avviare azioni legali contro l'azienda. «La giuria ha voluto inviare un chiaro messaggio all'industria delle bionde - dichiara il legale della vedova - ossia che non può continuare a mentire sulla dipendenza dal tabacco e sui suoi effetti sulla salute». Mentre il vice presidente di Reynolds, Jeffrey Raborn, sostiene che il verdetto va al di là di qualunque ragionevolezza ed equità ed è fiducioso che verrà ribaltato in appello. Una decisione così dura, tuttavia, rischia di avere ripercussioni non solo sulla società, ma su tutta l'industria del tabacco.

Anche in Italia, dopo la sentenza del Tribunale di Milano, la prima che dà il via libera al risarcimento dei danni da fumo, il Codacons affila le lame legali promettendo una raffica di analoghe azioni risarcitorie. «La decisione assume una importanza enorme - sottolinea Carlo Rienzi, presidente dell'associazione - non solo perché riconosce il nesso causale tra le sigarette e l'insorgenza della neoplasia polmonare che ha portato alla morte del fumatore. Ma anche e soprattutto perché sancisce in modo inequivocabile le responsabilità dei produttori di tabacco nei confronti di quei tabagisti che hanno iniziato a fumare prima del 1991».

E mentre dai due lati dell'Atlantico l'invito a chi ha cause pendenti o si è visto rifiutare un risarcimento è a non mollare, le multinazionali del tabacco si preparano alla mobilitazione.

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