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In guerra a nostra insaputa: italiani in missione in Libia

I militari sono da tempo sul territorio con funzioni di appoggio e intelligence. Il governo conferma solo ora

In guerra a nostra insaputa: italiani in missione in Libia

Le forze speciali italiane stanno operando in Libia. L'impegno militare, che il governo di Matteo Renzi ha sempre smentito sebbene si sospettasse che i corpi scelti fossero in qualche modo coinvolti, è stato rivelato ieri da Repubblica e successivamente confermato da fonti di Palazzo Chigi.

Si tratterebbe di qualche decina di unità dei commando del IX Reggimento «Col Moschin», del Gruppo operativo Incursori del Comsubin della Marina, del 17° Stormo dell'Aeronautica Militare e dei Gis dei Carabinieri. La loro attività, iniziata a Tripoli e molto probabilmente proseguita a Misurata, ha una doppia finalità. In primo luogo, le forze speciali proteggono gli agenti dell'intelligence dell'Aise e, in secondo luogo, supportano a livello addestrativo e tecnico le truppe del governo libico internazionalmente riconosciuto e guidato da Fayez Serraj, soprattutto per le operazioni di sminamento. I militari italiani, invece, non sono stati impegnati nella battaglia per la riconquista di Sirte.

Né, tuttavia, avrebbero potuto: sarebbe, infatti, necessario il voto del Parlamento per dare l'ok a missioni di peacekeeping a fianco della coalizione internazionale che opera su mandato di due risoluzioni Onu e che vede coinvolti in prima linea Stati Uniti e Gran Bretagna con il sostegno francese. I reparti d'élite delle forze armate, invece, agiscono sulla base della nuova normativa contenuta nella legge di rifinanziamento delle missioni internazionali di fine 2015. Il testo consente alla Presidenza del Consiglio di autorizzare missioni all'estero per fronteggiare «situazioni di crisi o di emergenza che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale», nonché per la protezione di cittadini italiani all'estero. La stessa fonte della notizia sarebbe, infatti, l'informativa dell'intelligence recapitata la settimana scorsa al Copasir, unico organismo parlamentare tenuto a essere sommariamente informato. L'intervento libico può essere catalogabile sotto tutti e due i profili legislativi: dai porti libici partono i barconi dei migranti tra i quali potrebbero nascondersi elementi jihadisti e in Libia sono inoltre presenti molti nostri connazionali, dipendenti di gruppi del settore petrolifero e delle costruzioni.

Nella scorsa primavera, però, l'esecutivo ai rumor oppose un fermo diniego persino in Aula. Con la stessa veemenza di qualche mese fa ieri l'opposizione ha protestato per l'accentramento di potere decisionale voluto dal premier (primo responsabile dei Servizi) e per essere stata tenuta all'oscuro delle operazioni. «Premesso che è giusto combattere contro i fondamentalisti, il governo italiano ha sin qui smentito ogni impegno dei nostri militari sul territorio libico nelle varie audizioni parlamentari», ha commentato il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Fi) sottolineando come i ministri degli Esteri e della Difesa, Gentiloni e Pinotti, avessero garantito il contrario al Parlamento («Oltre a Renzi ci sono altri esponenti bugiardi di questo esecutivo?»). «Il governo ha nascosto la verità al Paese», hanno contestato i componenti M5S delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato aggiungendo che il decreto missioni limita l'utilizzo delle forze speciali esclusivamente alle «operazioni di intelligence». «Non accetteremo che il coinvolgimento in un teatro di guerra passi senza un voto formale del Parlamento», ha chiosato Arturo Scotto (Si).

«Le vere polemiche bisognerebbe farle se l'Italia rimanesse con le mani in mano», ha replicato il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini rilevando come aiutare i libici sia «il minimo che possiamo fare poiché combattono il Daesh anche in nome e per conto nostro, come gli americani impegnati su Sirte».

E giustificando così la scarsa trasparenza.

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