Guerra in Israele

Hamas esulta. E chiude di nuovo a un accordo

Il gruppo estremista benedice l'attacco degli ayatollah mentre un cessate il fuoco è sempre più lontano

Hamas esulta. E chiude di nuovo a un accordo

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«Noi di Hamas consideriamo l'operazione militare condotta dalla Repubblica islamica dell'Iran un diritto naturale e una meritata risposta al crimine commesso prendendo di mira il consolato iraniano a Damasco e all'assassinio di diversi leader delle Guardie rivoluzionarie». È quanto si legge in una nota diffusa da Hamas a seguito dell'attacco condotto da Teheran contro il territorio israeliano nella notte scorsa. Un attacco ovviamente gradito a coloro che hanno dato il via al conflitto con l'azione terroristica del 7 ottobre scorso, nella speranza che quanto accaduto possa contribuire ad alzare il livello della tensione mettendo all'angolo Israele.

Anche perché il tavolo delle trattative per un eventuale cessate il fuoco nella Striscia di Gaza contestuale alla liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, va avanti anche se incontra l'ennesimo stop. Secondo quanto si apprende infatti, Hamas ha rifiutato l'ultima proposta avanzata nei negoziati al Cairo per un cessate il fuoco. Nella sua risposta ai mediatori, Hamas avrebbe «riaffermato la sua posizione» riguardo al diritto indiscriminato al rientro nel nord di Gaza e dell'uscita delle truppe israeliane dalla parte centrale della Striscia. Inoltre l'organizzazione estremista palestinese continuerebbe a insistere sulla necessità che una seconda fase dell'accordo si concluda soltanto con la fine delle ostilità. Condizioni a cui Israele si oppone fermamente. La nuova proposta Usa prevedeva il rilascio di 900 prigionieri palestinesi in cambio di 40 ostaggi israeliani in mano solo nella prima fase. Hamas «ha segnalato la disponibilità a discutere in modo positivo questa proposta una volta affrontate le altre questioni», chiedendo ancora una volta la porta.

Intanto nella Striscia centinaia di persone stanno abbandonando la zona Sud per fare ritorno nelle proprie città al Nord, sia per il rischio di blitz a Rafah e dintorni ma anche per opporsi alla linea dettata da Israele.

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