Mondo

I "cinghialotti" tornano a casa. "Se siamo vivi è per miracolo"

Lasciano l'ospedale i 13 ragazzi rimasti imprigionati per giorni in una grotta in Thailandia: "Ci siamo nutriti con le gocce d'acqua piovana"

I "cinghialotti" tornano a casa. "Se siamo vivi è per miracolo"

Chiang Mai (Thailandia) - «È stato un miracolo», hanno esordito i tredici ragazzi che per oltre due settimane sono stati intrappolati nelle viscere della grotta di Tham Luang, nel nord della Thailandia. I baby calciatori e il loro vice allenatore hanno lasciato l'ospedale Prachanukroh di Chiang Rai nel pomeriggio di ieri dopo otto giorni di ricovero. Poi, alle 18 ore locali - le 13 in Italia - per la prima volta hanno parlato in pubblico, in una conferenza stampa andata in diretta televisiva, dove hanno raccontato alcuni dettagli del loro incubo.

«Per nove giorni abbiamo bevuto solo acqua piovana, avevamo fame», ha detto uno dei giovani. «Il primo giorno non abbiamo sentito nessun cambiamento nel nostro corpo, poi abbiamo cominciato ad avvertire qualcosa», ha continuato un altro ragazzo. «Bevevamo le gocce d'acqua che scendevano dalle pareti della caverna», ha spiegato un altro ancora.

Ekkapol Chantawong, l'unico adulto del gruppo che era con loro, ha detto che durante i giorni trascorsi nella grotta, prima del ritrovamento da parte dei soccorritori, hanno tentato di cercare una via d'uscita. «Abbiamo provato a scavare nelle pareti, non volevamo stare solo ad aspettare che ci salvassero».

I tredici, tutti vestiti con la divisa della loro squadra di calcio «Wild Boar», scusandosi con i genitori per averli fatti preoccupare, hanno detto di aver imparato una grande lezione da questa storia. «L'esperienza ci ha insegnato ad essere più attenti e a non vivere la vita in modo superficiale».

Poi hanno fatto le condoglianze alla famiglia di Saman Gunan, l'ex incursore del gruppo d'élite della marina thailandese, morto per mancanza di ossigeno mentre stava partecipando alla preparazione della missione di recupero. «Ci sentiamo tristi ed in colpa per quanto successo, speriamo che riposi in pace», hanno detto. In quattro hanno dichiarato che il sogno nel cassetto è quello di diventare Navy Seals, proprio come l'eroe che ha sacrificato la sua vita per salvare la loro. I giovani hanno anche espresso la volontà di farsi monaci, «per onorare Gunan nel modo più significativo possibile». Nel buddismo Theravada diventare monaco e donare il merito acquisito, è uno dei più grandi onori che una persona possa fare per un'altra. L'ordinazione completa - nota come bhikkhu - è riservata agli uomini di età superiore ai vent'anni. I ragazzi, per questo, dovrebbero essere ordinati come novizi.

I piccoli calciatori e il loro vice allenatore sono sopravvissuti per 18 giorni rimanendo su una lingua di terra rimasta quasi all'asciutto, a circa tre chilometri di distanza dall'entrata di Tham Luang e a ottocento metri di profondità. Per uscire, con l'aiuto di sommozzatori esperti thailandesi e stranieri -, hanno affrontato un lungo percorso fatto di immersioni e vie molto impervie. Tra queste un passaggio chiave a due terzi della strada, ovvero un restringimento del condotto di meno di quaranta centimetri di diametro.

Miracolo o no, la cosa certa è che non c'era molto tempo per tirarli fuori. E che durante l'ultimo giorno di recupero, le pompe che drenavano l'acqua hanno iniziato ad avere problemi. Ruengrit Changkwanyuen, un subacqueo thailandese che coordinava le squadre di immersioni, ha raccontato che nelle fasi finali dell'estrazione «all'improvviso un tubo è scoppiato, la pompa principale ha smesso di funzionare e il livello dell'acqua stava salendo molto velocemente». È stata una corsa contro il tempo. Anche perchè, circa tre ore dopo che tutti sono stati messi in salvo, il meccanismo è andato in tilt.

Un'altra casualità - o forse no - è stata la tregua che le piogge monsoniche, previste proprio nei giorni dell'operazione di soccorso, hanno concesso. Permettendo così il raggiungimento dell'obiettivo. E il salvataggio di tredici giovani vite.

Commenti