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I Cinque stelle predicano contro la prescrizione ma potrebbero sfruttarla

Il processo sulle firme false a Palermo è al traguardo. Il reato «scade» a febbraio

I Cinque stelle predicano contro la prescrizione ma potrebbero sfruttarla

Stanno per salire sullo scivolo della prescrizione dopo essersi battuti per eliminarla. Paradosso giudiziario: scatta fra polemiche e crisi di nervi la nuova durissima legge voluta dai 5 Stelle ma i primi a scansarla, con un tempismo perfetto, sono sempre loro: i discepoli di Beppe Grillo. Per la precisione una corposa pattuglia di ex deputati nazionali e regionali sotto processo per falso davanti ai giudici di Palermo. Il pm ha chiesto una raffica di condanne, la sentenza è attesa per dopodomani, ma fra pochi giorni la giustizia alzerà le mani in segno di resa: tempo scaduto, le eventuali pene evaporeranno come talvolta accade nel nostro Paese.

Con la norma entrata in vigore il 1 gennaio, che solo i Cinque stelle difendono e tutti gli altri partiti della maggioranza vogliono modificare, il verdetto pietrificherebbe la situazione e ci sarebbe tutto il tempo per il dibattimento d'appello e pure per la Cassazione, ma in questo caso per fortuna degli imputati valgono le vecchie regole.

Il reato, se ci fu, fu commesso la notte del 3 aprile 2012, quasi otto anni fa, in piena bagarre per le elezioni amministrative a Palermo: i big siciliani del Movimento persero letteralmente la testa dopo aver scoperto con sgomento un banale vizio di trascrizione sul luogo di nascita di un sottoscrittore. Cosi, nel timore di non poter più presentare la lista, su input del candidato sindaco Riccardo Nuti si decise di ricopiare migliaia di firme. Un cancelliere avrebbe attestato falsamente che tutta l'operazione era avvenuta sotto i suoi occhi. Cosi, per rimediare a una scivolata su una buccia di banana, i deputati, nazionali e regionali, architettarono un colossale pasticcio e finirono probabilmente con il violare la legge.

Una vicenda imbarazzante, frutto di dilettantismo e approssimazione, che presenta con perfidia il conto proprio nelle ore in cui la maggioranza si spacca su questo delicatissimo tema: i renziani, il Pd e perfino la sinistra di Leu vogliono modificare la norma appena introdotta che ritengono incivile. Il motivo? Gli indagati restano in balia dei tempi processuali, che in Italia come dimostra pure questo caso sono infiniti, e dunque sarebbe bene introdurre limiti e paletti.

Sotto i riflettori finiscono tanti nomi che hanno fatto la storia del Movimento a Palermo: fra i 14 imputati ci sono gli ex parlamentari Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, oltre agli ex deputati regionali Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca, la «pentita» che ha raccontato dall'interno l'imbroglio e per questo ha ricevuto dall'accusa un trattamento soft. È per lei la richiesta più bassa: 1 anno e 6 mesi.

È vero che i protagonisti di quella sconclusionata operazione hanno abbandonato in massa il Movimento, come è successo ai pionieri del grillismo in tante città italiane, ma la contraddizione fra predicazione e comportamento in aula è evidente a tutti. Sempre che non ci sia un colpo di scena: l'imputato può sempre rinunciare al «jolly» e continuare la battaglia per dimostrare senza ombre la propria innocenza. La sabbia nella clessidra della magistratura si esaurirà a febbraio. Poi dovrebbe calare il sipario.

Intanto per domani è previsto l'ennesimo vertice fra i quattro partiti della coalizione, originariamente fissato per ieri e poi slittato: si cerca una qualche mediazione, nell'eterno duello fra garantisti e giustizialisti.

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