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I compagni lasciano solo Minniti Ma Delrio prova a ricucire con lui

Marcia indietro dell'ex sindaco: «Strategia unica sulle Ong». Anche Renzi elogia «il lavoro dei nostri ministri». La sinistra non arretra

I compagni lasciano solo Minniti Ma Delrio prova a ricucire con lui

Roma Forse l'isolamento nell'esecutivo è finito. Con l'intervento del Quirinale e la nota di appoggio di Palazzo Chigi, Marco Minniti è tornato solidamente al suo posto e le paventate dimissioni sembrano rientrate. E ieri anche Matteo Renzi ha smorzato le polemiche: «I nostri ministri, bravi e capaci, stanno facendo un buon lavoro», ha scritto su Facebook. Ma le posizioni su Libia e migranti del titolare del Viminale, seppure difese dal governo - non certo all'unanimità - risultano ancora indigeste, e molto, fuori da Palazzo Chigi. Con la sinistra che non perde occasione per mettere il ministro dell'Interno all'angolo, senza risparmiargli nessun paragone, nemmeno quelli più infamanti. E nemmeno per interposta persona. Dopo che il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, aveva dedicato al pasticcio delle Ong un editoriale nel quale difendeva il codice di comportamento in mare voluto da Minniti, lo storico e politologo Marco Revelli ha replicato accusando il ministro di «disumanità». «Sappiamo che un uomo - scrive Revelli, riferendosi con tutta evidenza al titolare dell'Interno - può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell'emancipazione dell'Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente, e tuttavia, in un ufficio climatizzato del proprio ministero firmare la condanna a morte per migliaia e migliaia di poveri del mondo, senza fare una piega».

Minniti, dunque, sarebbe come un gerarca nazista in grado di coniugare gusti letterari e musicali alti con il suo lavoro nei campi di concentramento, suggerisce Revelli citando un brano di George Steiner («Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz»). E la posizione, per quanto durissima ed estrema, con tanto di altro parallelo tra Minniti e «il fascista ungherese Orban», non è certo isolata nella sinistra. Già all'indomani del «boicottaggio» del protocollo per le Ong voluto dal Viminale, con solo 2 organizzazioni che in quel momento avevano firmato, il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni aveva spiegato come la pensava con un post su Facebook. Schierandosi con le Ong e contro «un codice inaccettabile, che prevede addirittura la presenza di personale di polizia a bordo con armi, che non privilegia i salvataggi in mare e che ben si combina con la scelta di inviare navi militari in Libia», per concludere, anche lui, con un «restiamo umani» che suona, tanto per cambiare, come «espulsione» di Minniti dalla specie sapiens.

Più cortesi, come si diceva, ma non meno ostili anche alcuni colleghi di Minniti al governo. Dove la rottura è anche più delicata perché ha inevitabili ripercussioni sulla già fragile trama del Pd. In trincea contro la linea minnitiana del rigore c'è il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che solo ieri sera ha aggiustato il tiro, assicurando al Tg1 che tra lui è Minniti la «linea è unica», e smorzando le polemiche. Di certo, Delrio può contare sull'appoggio di due esponenti renziane dell'esecutivo di Gentiloni, come Maria Elena Boschi e Marianna Madia.

Alleanze trasversali e frizioni pericolose: nonostante la diplomazia in azione Minniti, soprattutto tra i suoi «amici», è sempre più solo.

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