Economia

I conti non tornano: deficit al 3,7 Ennesima grana per il governo

L'Istat certifica il peggioramento del rapporto col Pil nei primi nove mesi del 2014 Padoan minimizza: con gli ultimi tre mesi siamo al 3%. Ma il rischio sforamento c'è

I conti non tornano: deficit al 3,7 Ennesima grana per il governo

Roma - Il rapporto deficit/pil va male. Se vi fosse bisogno di un'ulteriore conferma, ci ha pensato l'Istat a vergarla: nei primi nove mesi del 2014 si è attestato al 3,7%, in peggioramento di 3 decimi di punto percentuale rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. È l'effetto di un malefico combinato disposto: la spesa continua ad aumentare - seppur di poco - mentre il prodotto interno lordo continua a scendere. E così il rapporto continua a crescere.

Certo, occorre ricordare che si tratta di una fotografia parziale a fine settembre. Mancano i dati dell'ultimo trimestre che comprenderà anche le maxientrate del Tax Day del 16 dicembre scorso (quello con Imu, Tasi e Tari tutte in un colpo solo) e probabilmente il consuntivo 2014 si attesterà in linea con le previsioni del governo Renzi che da mesi indicano un rigido rispetto del parametro europeo del 3 per cento.

E anche il ministero dell'Economia ha dato questa spiegazione. «Va rilevato che nel terzo trimestre dell'anno questo parametro mostra con sistematicità un valore maggiore rispetto al dato finale», ha scritto via XX Settembre. Non c'è motivo apparente per non dar credito alle tesi del ministro Padoan: le statistiche funzionano così. Ma poiché l'economia non è una scienza esatta, può talvolta accadere che le previsioni non siano rispettate. Ecco, anche uno sforamento dello 0,1 per cento per l'Italia potrebbe essere esiziale. Non tanto per la gravità dell'errore quanto, piuttosto, per le ricadute negative in ambito comunitario. Il governo, infatti, sta combattendo una guerra di trincea in Europa contro la Germania con scarsi esiti. L'obiettivo sarebbe quello di ottenere una maggiore «flessibilità» nel rispetto dei parametri a fronte di uno sforzo per le riforme e il risanamento. Lo scopo è quello di spuntare qualche bonus per gli investimenti e anche per la nuova indennità di disoccupazione (Aspi) del Jobs Act. È indubitabile che l'austera cancelliera Merkel difficilmente concederà qualcosa a un Paese non in grado di attenersi neanche alla regola del 3 per cento (quella sul debito/Pil ,in viaggio oltre il 133%, è stata costantemente sforata).

Ma i dati Istat di ieri lasciano due strascichi ancor più pesanti. La pressione fiscale continua a essere elevata (40,7% secondo i metodi dell'istituto di statistica), senza sortire effetti tangibili. Secondo i calcoli, infatti, nel terzo trimestre 2014 (il primo in cui era misurabile l'effetto del bonus degli 80 euro) a fronte di un aumento dell'1,9% del potere d'acquisto - trainato anche dal calo del tasso di inflazione - la variazione delle spese per consumi è stata nulla.

Padoan ha gettato acqua sul fuoco ricordando che «le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio intaccato durante la crisi prima di riprendere il livello adeguato di consumi e investimenti». Anche questa è un'interpretazione formalmente ineccepibile, ma che tuttavia nasconde una realtà più dura. La mancata riduzione della pressione fiscale e il timore di una recrudescenza della crisi hanno vanificato le buone intenzioni di Renzi & Padoan.

Al di là delle statistiche.

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