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I cristiani dell'India "convertiti" a forza

Il governo guidato dal nazionalista Modi incoraggia il "ritorno" alla fede indù: chi non cede per denaro rischia la violenza

I cristiani dell'India "convertiti" a forza

Chiese bruciate, cristiani convertiti a forza o a pagamento ed il Natale trasformato in «giornata del buon governo» è l'escalation dell'estremismo indù, che sta prendendo piede con il nuovo esecutivo di Narendra Modi, il premier mangia marò.

Domenica lo hanno denunciato a gran voce i rappresentanti religiosi di cattolici e protestanti in India. Il primo ministro è stato accusato di «estendere un tacito supporto» alla campagna di conversione dei radicali indù. Il programma è noto con il nome locale di ghar wapsi , che significa «ritorno a casa». «Entro il 2021 l'India sarà purificata da religioni estranee quali il cristianesimo e l'islam» ha annunciato pubblicamente Rajeshwaar Singh, capoccia della formazione ultra nazionalista Dharm Jagran Manch (Forum del Risveglio della Fede). La campagna ha già provocato la conversione di ottomila cristiani. Prima vengono convinti con offerte di denaro: 200mila rupie (poco meno di 2700 euro) per i cristiani e 500mila (circa 6700 euro) per i musulmani considerati più coriacei. Se non bastasse arrivano le minacce e le legnate o peggio. Il 3 dicembre la chiesa di San Sebastiano, a New Delhi, è stata data alla fiamme. Nei primi 100 giorni del governo Modi eletto a maggio si sono registrati 600 attacchi alle minoranze religiose. In particolare negli Stati indiani governati dai nazionalisti come Uttar Pradesh, Madhya Pradesh e Chattisgarh. Anche in Kerala, dove è iniziata l'odissea dei marò, le conversioni dei cristiani sono in aumento. La conferenza dei vescovi indiani denuncia che in 50 villaggi di Chattisgarh è passato un editto che «nega l'ingresso ai preti cristiani». Gli estremisti chiedono in Parlamento di riscrivere i testi scolastici e qualche fazione vorrebbe addirittura l'espulsione di tutti i non indù dal Paese.

Esponenti di spicco del partito ultranazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh (Organizzazione Patriottica Nazionale) appoggiano apertamente il programma di conversione.

Lo stesso Modi si è fatto politicamente le ossa da giovane in questa formazione e adesso tace sulle minacce ad una minoranza religiosa, che conta comunque 20 milioni di persone. In realtà lo stesso Modi non sarebbe contrario al «ritorno a casa», la conversione più o meno forzata dei cristiani. Lo ha rivelato ieri MT Ramesh, pezzo grosso in Kerala del partito Bjp al potere. Il premier intervenendo in ottobre ad un congresso di medici aveva sostenuto che Ganesh, il dio dell'induismo con la testa di elefante ed il corpo di uomo era la prova che la chirurgia plastica fosse nata in India. Sembra che non si trattasse di una battuta. Non solo: alti esponenti dell'esecutivo hanno proposto che il 25 dicembre diventi il «giorno del buon governo», costringendo scuole e uffici pubblici a restare aperti per Natale, la più importante festività cristiana. Nel distretto di Bastar una scuola cattolica è stata obbligata ad esporre la statua della dea Sarsawati. Agli studenti hanno proibito di usare la parola «padre» per rivolgersi ai preti insegnanti.

John Dayal, tra i più noti attivisti cristiani dell'India, dichiara senza mezzi termini al sito La Nuova Bussola Quotidiana: «Le autorità hanno favorito l'aumento di attacchi da parte dei fondamentalisti indù, che hanno potuto godere della complicità delle forze di polizia e della benevolenza del sistema giudiziario».

Nel 2013 si sono registrati quattromila casi di violenza contro i cristiani compresi 7 omicidi, taglio delle mani e chiese o libri sacri bruciati, ma quest'anno la situazione è peggiorata.

I vescovi indiani hanno confermato all'agenzia vaticana Fides che è stato inviato al governo un dossier con la lista nera degli episodi «rappresentativi dell'ostilità e della discriminazione subita dai cristiani in tutta l'India».

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