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Lavoro, i dubbi azzurri sulla riforma: "Puzza di grande imbroglio"

Il timore del centrodestra è che il premier ceda alla sinistra e finisca per annacquare il Jobs Act

Lavoro, i dubbi azzurri sulla riforma: "Puzza di grande imbroglio"

Deluso da Renzi? Un po'. Ma in fondo non s'era fatto tante illusioni il Cavaliere che, rientrato a Roma, fa il punto con i suoi. Vede qualche parlamentare per parlare del partito, tra cui Michaela Biancofiore; taglia il nastro della biennale dell'antiquariato a palazzo Venezia - dove si concede una battuta: «Ho fatto un grande errore, non sono stato di sinistra, sennò mi portavano in giro come la Madonna...» - poi rientra a Grazioli con molti dubbi sull'operato del premier. Berlusconi tifa Renzi, certo. Ma quale dei due? Di sicuro quello che prende di petto veterosinistri e sindacati e annuncia di volerli rottamare definitivamente. Non certo quello che, per garantirsi i numeri in Senato, cala le braghe di fronte alle loro richieste dei dissidenti e apre le porte di palazzo Chigi a Camusso & C. Di sicuro tifa al Renzi che annuncia di voler ammainare la decrepita bandiera dell'articolo 18; non certo quello che, condannato all'eterna mediazione con i dissidenti piddini che in Aula hanno i numeri per farlo ballare, sui licenziamenti media tanto da non cambiare nulla.

«C'è il rischio di un grande imbroglio - sintetizza così Brunetta -. Da quello che è uscito dalla direzione del Pd non si capisce bene, ma c'è il dubbio che tutto rimanga come prima. Camusso d'accordo, Damiano d'accordo. Vuol dire che quello che propone Renzi è un nulla di fatto, rimanere alla situazione attuale». Nel merito: l'altroieri Renzi, per disarmare una parte degli oppositori interni, ha aperto al reintegro per i licenziamenti disciplinari e non solo a quelli discriminatori. «Disciplinari», una parolina che è zucchero per la sinistra dem ma fiele per Forza Italia e pure per l'Ncd. Sempre Brunetta spiega così: «Il fatto di ammettere la reintegra non solo per ragioni discriminatorie ma anche per ragioni disciplinari di fatto vanifica la portata “eversiva” della riforma, nel senso che ritorniamo pienamente alla legge Fornero. Sarebbe l'ennesimo imbroglio, l'ennesimo trucco, e non ce lo meritavamo. Speriamo non sia così, io mi ero anche illuso della sterzata innovativa e riformatrice di Renzi ma evidentemente prevale sempre e comunque il richiamo della foresta».

Sulla stessa linea Daniele Capezzone: «Negli interventi Renzi è stato molto condivisibile e il suo attacco alla scelta di Prodi 2006-2007 di abolire lo scalone è stata positiva e coraggiosa. Ma nel documento scritto, invece, c'è stato un primo grave arretramento di Renzi, che ha ceduto alla sinistra». Il testo della delega è vago e nei prossimi giorni in Senato sarà battaglia. Ma una battaglia tutta interna al Pd. Il problema è che il Cavaliere comincia a pensare che il premier non avrà il coraggio di tenere il punto e annacquerà il Jobs Act fino a renderlo inefficace. Il Cavaliere non se lo augura e non nasconde di essere disposto a dare una mano a Matteo. Ti mancano i voti? Non temere, te li do io; basta che non arretri di un millimetro sulle battaglie giuste.

E invece Renzi sta arretrando per non accettare il famoso «soccorso azzurro». Se lo facesse, infatti, il premier imboccherebbe una strada quasi obbligata: riconoscere che la maggioranza che sostiene il governo non c'è più, salire al Colle, di fatto aprire una crisi, presumibilmente accelerare una scissione nel Pd. Scavezzacollo sì; ma fino a questo punto? Ormai tra gli azzurri ci credono in pochi, Berlusconi incluso. Allora tanto vale ribadire che Forza Italia sta convintamente all'opposizione e che è disposta a mescolare i propri voti solo e soltanto se Renzi farà cose buone, altrimenti sarà pollice verso.

E il pollice verso ha anche l'effetto non malevolo di sedare un po' i malpancisti azzurri che ritengono la strategia forzista troppo filorenziana.

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