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I "furbetti" della sete: Acea fa ricchi i soci ma non ripara i tubi

In sei anni 381 milioni a Comune e privati. Mentre si tagliavano le spese per la rete

I "furbetti" della sete: Acea fa ricchi i soci ma non ripara i tubi

Come si fa a lasciare a secco la Capitale e le province limitrofe quando si incassano circa 3 miliardi di euro in sei anni? È questo il mistero un po' buffo di Acea Ato 2, la società che gestisce il servizio idrico integrato di Roma. Si tratta di una controllata della omonima utility capitolina (96,5%) e del Campidoglio (3,5%). La storia è molto italiana e si può riassumere in maniera semplicistica con la formula «il cittadino paga e l'ente incassa».

La storia di Acea Ato 2 non è quella di un carrozzone in perdita. Nel periodo 2011-2016 ha devoluto agli azionisti 381,3 milioni di dividendi contribuendo per oltre un quarto all'utile netto di Acea che è quotata in Borsa e che oltre al Comune di Roma (51%) annovera tra i suoi soci i francesi di Suez (23,3%) e il gruppo Caltagirone (5%). Se la utility ha potuto a sua volte remunerare i propri azionisti (e per i conti dissestati della Capitale quelle cedole sono manna dal cielo) è anche per merito dei cittadini che pagano la bolletta dell'acqua. A questo non corrisponde, come evidenziano le cronache degli ultimi giorni, altrettanta qualità.

Eppure nel 2016 Acea Ato 2 ha investito sulla rete idrica per circa 225 milioni. Come ha evidenziato un'analisi elaborata da Merian Research e dallo Studio Lillia (commissionato dalla deputata grillina Federica Daga, paladina dell'«acqua bene comune»), il gestore del servizio idrico nel periodo 2012-2015 ha effettuato investimenti per 577 milioni, circa 375 milioni in meno di quanto preventivato dal piano industriale. Non a caso la redditività di Acea Ato si avvicina spesso al 10%, un valore che molte imprese sognano. E non è un caso che Raggi abbia pensato di vendere quel 3,5% della società per fare cassa, ma una mozione dei suoi stessi consiglieri l'ha stoppata.

Dunque la spiegazione dei disservizi di questi giorni è anche in questi numeri: i soci di Acea incassano da Acea Ato 2 (due volte considerato che gli investimenti sono finanziati da prestiti della capogruppo) ma quest'ultima non sempre riesce a curare la rete degli acquedotti come dovrebbe. Il pensiero non può non andare alle polemiche degli ultimi giorni tra il sindaco Raggi, e il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che chiudendo il prelievo dal bacino del Lago di Bracciano potrebbe far restare all'asciutto la Capitale (di sicuro resterà senz'acqua un altro Comune pentastellato, Civitavecchia). La politica che crea problemi e che poi accusa gli avversari di aver incancrenito la situazione.

Di sicuro quando l'ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, si impegnò alla fine degli anni '90 per la veloce attuazione dell'«Ambito territoriale ottimale» (di cui Ato è l'acronimo) nessuno avrebbe previsto la grande sete dell'estate 2017. Anzi, si era creato una nuova istituzione nella quale manager «politici» avrebbero potuto trovare uno sbocco. Ad Acea Ato 2, tanto per fare un esempio, è stato confermato Paolo Saccani, insediato dal precedente vertice boschiano-renziano e poi confermato anche dal nuovo corso grillino. In fondo anche l'attuale ad di Acea, Stefano Donnarumma, è un «cavallo di ritorno». Uscito qualche anno fa per dissapori con il precedente management (in particolare con Francesco Sperandini, poi passato al Gse), è stato richiamato dagli M5S area Lombardi. Anche perché il Movimento non ha a tutt'oggi profili spendibili per ruoli importanti.

E così a Roma e nel mondo delle utility vincono sempre le professionalità consolidate, gli investitori istituzionali (e non) e perdono i cittadini.

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