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I giallorossi non cambiano idea sull'Ilva. E ora il futuro dell'azienda è più incerto

Primo ok allo stralcio dell'immunità penale. Ira di opposizioni e sindacati

I giallorossi non cambiano idea sull'Ilva. E ora il futuro dell'azienda è più incerto

Taranto - La prima fiducia chiesta e ottenuta dal governo giallorosso è quella che spalanca le porte al decreto salva imprese. Vale a dire la versione riveduta e corretta targata Movimento Cinque Stelle, priva dello scudo penale per i manager di ArcelorMittal Italia. E se nell'aula del Senato grazie a 168 voti favorevoli scatta il semaforo verde per il nuovo provvedimento caratterizzato dall'emendamento pentastellato, a Taranto prende sempre maggiore consistenza l'ipotesi di un drastico ridimensionamento di quello che un tempo era un colosso dell'acciaio. Al punto che in Puglia già si profilano giornate di mobilitazione contro una prospettiva che pareva scongiurata grazie all'intesa raggiunta l'anno scorso e che adesso comincia invece a diventare pericolosamente concreta. Perché da una parte c'è l'ingranaggio messo in moto dal governo, che entro il 3 novembre porterà con ogni probabilità alla trasformazione in legge del provvedimento che fa piazza pulita del vecchio accordo sull'immunità, dall'altra c'è una realtà industriale complicata perché c'è da fare i conti con la crisi e il calo della produzione. Risultato: sulle sorti della fabbrica si addensa una tempesta perfetta, che potrebbe portare a una riduzione della produzione a quattro tonnellate e a un conseguente taglio di cinquemila posti di lavoro.

C'è quanto basta per far sprofondare nello sconforto i circa diecimila operai di Taranto, senza contare quelli dell'indotto. Tanto più che da Roma si accavallano indiscrezioni tutt'altro che rassicuranti. L'ultima riguarda un incontro che sarebbe avvenuto un paio di settimane fa tra il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e il nuovo amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli. A quanto pare sempre secondo voci romane - il taglio della produzione sarebbe un'eventualità effettivamente ventilata dai vertici dell'azienda, un'ipotesi che ha provocato la replica dei sindacati. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, chiede che venga convocato rapidamente un nuovo tavolo e mette le cose in chiaro: «Non siamo disponibili a discutere di mille licenziamenti, ma neanche di uno». Grande preoccupazione viene espressa anche dal leader della Uil, Carmelo Barbagallo: «C'è il rischio sostiene che rimettere in discussione lo scudo penale possa portare ArcelorMittal a decidere di utilizzare solo il mercato dell'acciaio in Italia e non la produzione». Ma non è tutto. Perché la svolta impressa dal governo avrebbe portato già i primi effetti concreti. «Si è innescato spiega il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella un processo di paura dei lavoratori che hanno la responsabilità della gestione, che devono firmare i documenti o impartire ordini: chiedono di essere esonerati da responsabilità. E così parte una reazione a catena che inesorabilmente porta al fermo», aggiunge. Uno scenario confermato dal leader della Fim, Marco Bentivogli: «Dall'azienda dichiara ci arrivano segnali di persone che non vogliono rischiare condanne facendo il loro lavoro, applicando la legge».

Intanto, mentre i sindacati attendono che il governo batta un colpo e convochi un nuovo tavolo, si infiamma il dibattito politico. «La maggioranza continua a creare caos, aggiungendo ulteriore incertezza al futuro dell'azienda», dice la capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastella Gelmini.

Che aggiunge: «Fare carta straccia degli accordi già presi rischia di portare ArcelorMittal a prendere decisioni drastiche».

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