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I gialloverdi ci affossano: primo calo del Pil dal 2014

La ricchezza del Paese si riduce e la disoccupazione cresce. Inizia lo scaricabarile. I 5s: colpa di Gentiloni

I gialloverdi ci affossano: primo calo del Pil dal 2014

Nel terzo trimestre 2018 il Pil è tornato a decrescere. Non accadeva dal periodo marzo-giugno 2014 e la revisione delle stime dell'Istat getta una luce sinistra sui propositi del governo gialloverde visto che l'anno in corso si concluderà molto probabilmente con un +0,9% di crescita, tre decimi di punto al di sotto del +1,2% scritto nella Nota di aggiornamento al Def. La crescita acquisita (quella che si registrerebbe con variazione nulla nel trimestre in corso) è stata abbassata al +0,8% e si resterebbe sotto l'1% anche con una variazione congiunturale di un +0,1 percento. La vera questione, tuttavia, è l'effetto di trascinamento sul 2019 poiché, a questo punto, sarà molto difficile centrare il +1,5% che Salvini e Di Maio hanno voluto come presupposto per la manovra del popolo. «Il Pil negativo è il risultato delle vecchie manovre basate su tagli e austerità», ha commentato il leader leghista aggiungendo che «nel 2019, con la nostra manovra fondata su più lavoro e meno tasse, l'Italia tornerà a crescere». Stesse parole da parte di Luigi Di Maio: «La manovra insipida di Gentiloni non ha fatto ripartire l'economia nel 2018». Nonostante lo scaricabarile e la fiducia nel futuro dei danti causa, il premier Conte e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, dal G20 hanno confermato l'intenzione di rivedere nettamente i saldi nella manovra (almeno 5 miliardi) per giungere a un rapporto deficit/Pil al 2,1%, tre decimali sotto il 2,4% preventivato.

Occorre, però, entrare nel dettaglio di questo risultato negativo. Il calo congiunturale è dovuto alla diminuzione simultanea dei consumi (-0,1% sul trimestre e si tratta principalmente di beni non durevoli) e soprattutto degli investimenti (-1,1%). Le vendite ristagnano perché i redditi stanno perdendo un po' di potere d'acquisto a causa dell'inflazione che a novembre è salita al +1,7 per cento. Dall'altra parte gli investimenti sono bloccati sia per il rialzo dello spread in atto sia per i provvedimenti annunciati (l'inasprimento del carico fiscale per finanziare quota 100 e reddito di cittadinanza). «Ho rivisto al ribasso la mia stima del Pil per il 2019 da +0,7 a +0,5%, ma se l'Italia entrasse in crisi finanziaria, il prodotto interno lordo andrebbe in territorio negativo e sarebbe recessione», ha dichiarato l'ex capoeconomista del Tesoro Lorenzo Codogno (Lc Macro Advisors).

Questo possibile scenario è lo stesso che al ministero dell'Economia viene preso seriamente in considerazione e che ha spinto Tria a favorire l'appeasement italiano con Juncker e Moscovici. Tanto più che ieri il dato sulla disoccupazione di ottobre (risalita al 10,6%, al di sopra delle stime degli analisti) ha fatto emergere ulteriori preoccupazioni. Stanno, infatti, diminuendo gli inattivi (coloro che non hanno un'occupazione e non la cercano) e l'arrivo del reddito di cittadinanza potrebbe ulteriormente spingere centinaia di migliaia di persone a uscire da quel limbo determinando un deterioramento dell'indicatore.

Ultimo ma non meno importante l'allarme del Centro studi Confindustria: a novembre la produzione industriale è del 2,1% inferiore al picco di dicembre 2017 e «non si intravedono segnali di miglioramento».

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