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I giudici di Amburgo sui marò: prove manipolate

Il Giornale era una delle poche le voci nel deserto che denunciavano le violazioni del diritto e le manipolazioni della giustizia indiana ai danni dei nostri marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Già poche settimane dopo l'arresto dei due fucilieri di Marina era venuta a galla tutta l'ambiguità dei giudici dello stato del Kerala nel gestire l'inchiesta sulla morte dei due pescatori indiani. Per prima cosa affermarono che il 15 febbraio 2012 la nave Enrica Lexie era in acque territoriali indiane, ma furono smentiti dai tracciati satellitari: la nave italiana era a 20,5 miglia nautiche dalla costa e non entro le 12, limite delle acque territoriali. Non basta. L'autopsia effettuata dal anatomo patologo K.S. Sasikala venne «silenziata» perché affermava che i proiettili estratti dai corpi dei pescatori non corrispondevano con quelli in dotazione ai nostri militari. Inoltre, i giudici impedirono agli ufficiali del Ros dei carabinieri di effettuare i contro esami balistici, permettendogli solo di assistere alle perizie indiane. E che dire poi del St. Anthony , l'imbarcazione dei pescatori? I giudici indiani permisero che fosse colato a picco, dopo essere stato svuotato dal proprietario. Il relitto venne recuperato troppo tardi per permettere un'accurata perizia.

Insomma, una condotta truffaldina sin dall'inizio, aggravata dal fatto che la giurisdizione non apparteneva all'India perché violava la Convenzione sul diritto del mare e gli accordi internazionali sull'immunità funzionale dei militari impegnati in missioni internazionali. E New Delhi, per aggirare le norme internazionali, aveva anche pensato di processare i marò per terrorismo, reato che prevede la pena di morte. Non ci sono riusciti. Certo, non grazie ai nostri governi giacché solo dopo tre anni si è deciso di ricorrere ai tribunali internazionali, dove stanno emergendo le manipolazioni della giustizia indiana. Dalle carte depositate all Tribunale internazionale di Amburgo, infatti, viene a galla che la rotta è stata modificata e che anche i proiettili sparati sono diversi da quelli in dotazione ai due marò. L 'Enrica Lexi e e il St. Anthony , sulla base delle rotte e delle velocità, passarono a circa 920 metri di distanza e non a 50 come sostengono gli indiani e i colpi partiti dalla nave italiana sarebbero quindi arrivati sul peschereccio da sinistra e non da destra, fiancata in cui sono stati trovati i proiettili. A una distanza di quasi un chilometro è davvero difficile colpire un bersaglio con le armi in dotazione ai nostri fucilieri. Senza contare che i proiettili calibro 5,56 non sono stati sparati dalle armi individuali di Latorre e Girone.

Le evidenti manipolazioni potrebbero far volgere al termine questa scandalosa vicenda, che ha visto come protagonisti negativi i nostri governi, soprattutto quello di Monti che avrebbe potuto chiudere il caso quando decise di tenere i marò in Italia, rientrati grazie a un permesso. Ma cambiò criminalmente idea.

Al suo fianco c'era anche il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, un ammiraglio che abbandonò la nave in tempesta lasciando i suoi marinai in balia di un subdolo nemico: la giustizia indiana.

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