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La farsa del processo Ruby: non andava neppure fatto

Sentenza Ruby ter, bacchettata ai pm. La conferma: il processo fu un'imboscata

I giudici: il Cav assolto e non per i cavilli. "Difesa non garantita"

Le motivazioni della sentenza vengono depositate alle 8,17 di ieri mattina. Centonovantasette. Meno di quattro ore dopo, i pubblici ministeri le hanno già lette «attentamente» e hanno già deciso di non arrendersi. «Ruby ter, Procura Milano prepara ricorso contro assoluzione di Berlusconi», titola alle 12,16 un lancio di agenzia dell'Adnkronos. Una reazione-lampo, anche per limitare i danni mediatici di quella che - proprio dalla lettura attenta delle 197 pagine - appare come una sonora sconfitta. Il tribunale di Milano non si è limitato a spiegare perché Silvio Berlusconi e tutti gli altri imputati sono stati assolti dalle accuse di corruzione e falsa testimonianza: i giudici rifilano ai pm anche una severa lezione di diritto, accusandoli di avere calpestato principi fondamentali del codice e della Costituzione. Il processo Ruby ter, dice la sentenza, non sarebbe mai dovuto neanche cominciare. Ma è iniziato, ed è durato quattro anni prima di inabissarsi il 15 febbraio con una sfilza di assoluzioni «perché il fatto non sussiste».

Il tribunale, si badi, non dubita affatto che nelle serate nella villa di Arcore si svolgessero altro che «cene eleganti», e di conseguenza nemmeno dubita che Kharima el Mahroug e le altre fanciulle, una volta interrogate in aula, abbiano mentito. Semplicemente dice che avevano tutto il diritto di farlo, perché in realtà non erano dei testimoni ma delle indagate, su cui la Procura milanese scavava da tempo. Avrebbero avuto diritto di tacere, di mentire, di farsi assistere da un avvocato. Non gli è stato concesso nessuno di questi diritti. E questo sgonfia il processo dall'inizio: «Non sussistono i delitti di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza», si legge nella sentenza, perchè «non e stato integrato uno degli elementi costitutivi del reato». «É mancata la qualità di pubblico ufficiale in capo alle persone che in ipotesi d'accusa sarebbero state remunerate per rendere dichiarazioni compiacenti», scrive il giudice Silvana Pucci, e controfirma il presidente Marco Tremolada. Errori da matita blu, insomma.

Tre mesi fa, quando venne pronunciata la sentenza, i giornali pro-Procura titolarono: Berlusconi assolto per un cavillo. É proprio a smontare questa lettura minimalista della sentenza che i giudici milanesi dedicano la stragrande parte delle 197 pagine dense di precedenti, di sentenze della Cassazione e di giudizi a volte sferzanti sul comportamento dell'accusa. Altro che cavillo, si legge: «Non si discute di un mero sofisma, di una rigidità procedurale, di una sottigliezza tecnica priva di contenuti. Tutelare il diritto al silenzio significa assicurare l'effettività della garanzia del nemo tenetur se detegere, (nessuno può essere obbligato a accusarsi da solo, ndr) di un principio che affonda le radici direttamente nel diritto di difesa, costituzionalmente garantito e pietra d'angolo dell'ordinamento giuridico». La prima a forzare le regole, portando in aula come testi donne su cui stava già indagando, fu la Procura, allora rappresentata da Ilda Boccassini. Ma i giudici e i pm arrivati dopo avrebbero avuto il dovere di porsi la questione, «in un'ottica di lealtà processuale e di giusto processo». Invece nulla accadde. I giudici del Ruby ter rivendicano di avere rimesso le cose a posto: «Un terzo filone processuale che non ha potuto fare a meno di ripristinare quell'ordine di garanzie violato, il tutto con profusione di ulteriori energie processuali che una riflessione sulla posizione delle dichiaranti, prima di escuterle, avrebbe evitato».

L'assoluzione di Ruby e delle altre Olgettine porta con sè inevitabilmente quella di Berlusconi e di tutti gli altri imputati: se non vi erano testimoni non può esservi la falsa testimonianza e tantomeno la corruzione. «Indizi inequivoci», dice la sentenza, dicono che le ragazze mentirono, e che vennero pagate: anche se «la prova che la procura ha inteso fornire in ordine all'accordo corruttivo è di tipo indiziario». Ma depurata dalla veste processuale l'intera vicenda delle notti di Arcore e del bunga bunga retrocede a quanto era forse fin dall'inizio, una storia privata di rapporti tra liberi e consenzienti.

La Procura esce malconcia ma non doma, e prannunciando il ricorso fa sapere che il caso Ruby (anche se parte delle accuse sono ormai comunque prescritte) non si chiude qui. Ma intanto la difesa di Berlusconi applaude a una sentenza che considera inattaccabile: «La lettura delle articolate motivazioni - dice uno dei legali del Cavaliere, Federico Cecconi - con cui il tribunale dispiega le ragioni a fronte delle quali ha mandato assolto Berlusconi con la formula più ampia possibile, e cioè perché il fatto non sussiste, non può non suscitare vivo apprezzamento per la completezza e qualità delle argomentazioni giuridiche in esse contenute.

Questa sentenza evidenzi criticità comuni all'intero filone giudiziario partito dal cosiddetto Rubygate nel 2011, in quanto nei vari procedimenti sono state interrogate persone senza le dovute garanzie difensive».

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