Cronache

I giudici salgono in cattedra: "Non si boccia in prima media"

Accolto un ricorso dei genitori: «È una fase delicata per i ragazzi». Ma così si perde il senso educativo della scuola

I giudici salgono in cattedra: "Non si boccia in prima media"

Nino Materi

Una «fase di transizione». Che rischia di far rimanere «piccolo» anche chi è già «grande» (o, quantomeno, dovrebbe cominciare a sentirsi tale). Ma 11 anni, a parere dei giudici del Consiglio di Stato, non sono ancora sufficienti per «metabolizzare una delusione». Che, nel caso di specie, è una bocciatura in prima media: uno stop doloroso per un giovanissimo studente; ma al tempo stesso uno stop che può essere anche «formativo» (sotto il profilo della crescita caratteriale dell'adolescente, ancor prima che della sua evoluzione didattica). La bocciatura, quindi, non intesa come una condanna, ma punto di partenza da cui riprendersi, risollevarsi e - in un certo senso - rinascere. Questo pensano i pedagogisti; di parer opposto, il Consiglio di Stato. Che si è espresso su un caso singolo, che però fa giurisprudenza erga omnes.

Eccola, la motivazione in base alla quale non sarà più possibile bocciare un alunno in prima media: «Si tratta di una delle fasi di transizione più delicate del percorso di crescita, nuova scuola, compagni, insegnanti e soprattutto è necessario, se non indispensabile, trovare un metodo di studio adeguato». Una decisione arrivata al termine di una lunga battaglia legale che ha coinvolto un ragazzino di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, che ora potrà accedere alla seconda media. In pratica non basterebbe un solo anno di frequenza per giudicare il percorso scolastico, nonostante le numerose insufficienze riportate. Secondo la pronuncia del Consiglio di Stato infatti per «decretare un giudizio ed eventualmente rallentare la carriera di uno studente, occorre prendere in considerazione un periodo più ampio».

I fatti: dopo la bocciatura del ragazzo, arrivata a inizio luglio, un ricorso aveva ristabilito la promozione a tavolino. Provvedimento che, a sua volta, era stato riformato a fine agosto da una decisione del Tar che aveva ritenuto insufficiente l'andamento scolastico del ragazzo durante l'anno. I familiari però, dopo la bocciatura dei professori di Scandiano, non hanno accettato nemmeno la sentenza del Tar e hanno deciso di rivolgersi al Consiglio di Stato che ha invece consentito allo studente di frequentare la seconda classe. Alla scuola media, che ha difeso la propria posizione, sono state addebitate le spese del giudizio: 1.700 euro. Nella dinamica di questa vicenda c'è una parola chiave: «ricorso». Il ricorso cioè presentato dai genitori dell'alunno prima bocciato dai suoi insegnanti e poi dal Tar. Una mamma e un papà - immaturi entrambi - che non si rassegnano al verdetto dei docenti prima e dei giudici amministrativi dopo. No, per loro, l'alunno deve essere promosso. A tutti i costi. Anche a costo del ridicolo. Il guaio è che il Consiglio di Stato ha dato loro ragione. I genitori saranno felici. Non sanno che hanno fatto una figuraccia e, cosa più grave, hanno dato un pessimo esempio al figlio. Che, da quella bocciatura, poteva cominciare il suo percorso di crescita.

Diventando un vero uomo.

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