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I grillini nel pallone Ora rischiano persino di perdere la Camera

Fico s'infuria con Di Maio che l'ha bruciato e minaccia l'Aventino dei suoi 50 fedelissimi

I grillini nel pallone Ora rischiano persino di perdere la Camera

Me vulive fa fesso, ma 'ccà nisciuno è fesso, Luigì! Nella mente di Roberto Fico la sensazione di essere stato preso in giro con la sua candidatura alla presidenza della Camera ha fatto in fretta a tramutarsi in certezza. Erano sommovimenti notturni che all'alba di ieri già trasmutavano in scosse telluriche e quindi, poche ore dopo, in onde sonore tali da far vibrare all'unisono vetri e padiglioni auricolari di Luigi Di Maio. Più tardi, lo sciame sismico per qualche ora ha rischiato di mandare a gambe all'aria Movimento, il capo politico e chi web-comanda.

Tale la furia di Fico, tirato in ballo in un «gioco sporco, assai compromettente» (così l'ha definito nel accesissimo chiarimento con Di Maio) che ne avrebbe azzerato il peso e il rispetto di cui ancora gode. Al punto da far minacciare, all'ex presidente della Vigilanza Rai, addirittura una sorta di «Aventino interno» della cinquantina di deputati e senatori ortodossi a lui più fedeli, ormai sospettosi allo spasimo nei confronti di Di Maio e del suo decisionismo spinto. Decisionismo che lo aveva portato a un passo dall'accordo (magari persino all'incontro) con il vituperato Cav. «No a Berlusconi tutta la vita», il grido di battaglia che proveniva invece dalla Taverna. Con lei e Fico, tanti altri parlamentari turbati e indisponibili, come argomentava un senatore, «a scendere a patti con il Caimano, senza neppure sapere che questo ci aprirebbe le porte di Palazzo Chigi. E se poi non riceviamo l'incarico, che si fa?».

Tutto il ribollire grillino, con i picchi di nervi e urla di cui s'è detto, provocava due effetti evidenti: lo slittamento della riunione congiunta dei gruppi M5S prevista alle 13 per sancire la candidatura di bandiera di Fico alla presidenza della Camera, in cambio del forzista al Senato, così da «bruciarlo» nelle prime votazioni e aprire la strada al candidato vero di Di Maio: Riccardo Fraccaro, «ancorato» alla battaglia sui vitalizi. La seconda conseguenza era un post su facebook in perfetto stile-Di Maio: «Nelle ultime ore notiamo che ci sono difficoltà nel percorso... Il Pd si è rifiutato di partecipare al tavolo di concertazione e il centrodestra continua a proporre la candidatura di Romani che per noi è invotabile. Per questa ragione proponiamo un nuovo incontro tra i capigruppo di tutte le forze politiche per ristabilire un dialogo proficuo...». Era sì l'annuncio di un azzeramento imprevisto, ma anche la testimonianza diretta di quanto fosse fragile un accordo Di Maio-Salvini che non potesse contare né sulla sponda del Cav (ancora tiene salde le redini nel centrodestra), né quella di un Pd «derenzizzato» (che infatti, non a caso, s'era tirato fuori dalle trattative già l'altra sera). Dalla riunione di ieri sera negli uffici di M5S a Montecitorio non tutti i dubbi e i sospetti grillini venivano però fugati. Si parlava pure di un possibile «ribaltamento» delle presidenze (Toninelli al Senato e Giorgetti alla Camera), ma presto sfumava anche questa possibilità, cara soprattutto a Salvini. Senza accordo tra i gruppi, ognuno sembra destinato ad andare per conto suo, nelle prime «conte» di Camera e Senato. Ai grillini resterà anche la sensazione di riuscire mai a cavare un ragno dal buco (la gestione poco collegiale del Movimento non sembra produrre risultati), così che si faceva strada l'idea che soltanto una candidatura in prima persona di Di Maio alla Camera possa rendere M5S «libero» dalla responsabilità di ambire a tutti i costi a Palazzo Chigi.

Nelle more della sua formazione, che al momento appaiono lunghe fino alle calende greche, si potrebbe almeno realizzare un obbiettivo concreto: l'abolizione dei vitalizi.

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