Politica

"I miei due figli speciali e il lavoro per gli altri"

Barbara, istruttrice di nuoto Tma al servizio dei malati dopo la nascita dei suoi bambini

«Ricordo di aver chiesto: come si risolve l'autismo? Mio figlio sarà mai normale?». Dodici anni fa, quando Fabio aveva poco meno di due anni, il neuropsichiatra usò l'immagine dei binari paralleli, «non si incontreranno mai ma si potranno avvicinare di molto, dipende dal motore che c'è dietro».

Barbara Racca, istruttrice di nuoto e da due anni anche operatore Tma, ringrazia ancora quel medico, «perché non mi ha detto bugie e mi ha fatto capire che il motore siamo noi, la famiglia». Gli anni scorrono impegnati, fra logopedia, ippoterapia, maestre di sostegno e quel peso che preme nel petto lo si avverte un po' meno. Così sette anni più tardi, nasce il fratellino Marco. La gioia è piena quando si presenta come un risarcimento. Anche se sfuma in un battito d'ali. Succede al compimento del 18esimo mese. Come per Fabio. «Abbiamo riconosciuto gli stessi campanelli d'allarme: lo sguardo che sfugge, il dito che smette di indicare, le parole che non vengono più pronunciate. E poi i giochi stereotipati, l'agitare le manine davanti al viso...Non so dirle cosa ho provato. In un certo senso ero già preparata. A quel punto si raccolgono le forze e si va avanti». Barbara interrompe il suo lavoro di istruttrice di nuoto, si occupa a tempo pieno dei bambini. Ci sono le lezioni di logopedia, quelle di ippoterapia, i colloqui con le maestre, i momenti di sconforto, i progressi. E le liste d'attesa. «A Milano siamo un'isola felice: ogni bambini autistico è preso in carico dai servizi pubblici di Neuropsichiatria, noi siamo seguiti al Niguarda». Barbara è consapevole di imparare tanto dai suoi figli. «Li conosco, capisco quali sono le loro frustrazioni, quali le situazioni eccitanti, di cosa hanno bisogno. Cinque anni fa li ho iscritti in una piscina a Cernusco sul Naviglio dove si applica la terapia multisistemica in acqua. Ringrazio il passaparola fra mamme. Dopo la terapia in acqua, i bambini si sentono meglio. Sperimentano, si muovono, acquisiscono la percezione dei loro movimenti e del corpo».

Poi ha deciso di diventare lei stessa operatrice. «Sì, due anni fa ho scelto di riprendere a lavorare, ho seguito il corso (che comprende periodici aggiornamenti) ed eccomi di fronte ai bambini autistici anche fuori casa. Trasmetto loro qualcosa ma ricevo di più: quando i bimbi mi cercano e mi regalano sorrisi non chiedo altro.

E mi porto a casa questo ben di Dio».

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