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I rifugiati, un peso per l'economia: sono gli ultimi a trovare lavoro

I rifugiati sono più difficili da integrare, perlomeno utilizzando la leva del lavoro. La valutazione è contenuta nella relazione annuale di Bankitalia ed è basata su dati raccolti direttamente da Palazzo Koch. I richiedenti asilo «a cinque anni dall'arrivo, hanno una probabilità di impiego inferiore rispetto non solo ai nativi italiani, ma anche agli altri immigrati». Il divario «si riduce e non si annulla trascorsi dieci anni dall'ingresso». In sostanza è difficile che i rifugiati lavorino, mentre la propensione a trovare un impiego è maggiore tra gli altri immigrati. Un dato che mette in discussione l'efficacia delle misure di accoglienza dedicate a chi fugge dalle guerra. Il governatore di Bankitalia nelle considerazioni ha sfiorato l'argomento immigrazione, schierandosi contro le «barriere nazionali» che causano «danni certi e ingenti». Riferimento chiaro alle tentazioni del governo socialdemocratico austriaco di chiudere la frontiera al Brennero e alle conseguenze per la libera circolazione delle merci. Ma nella relazione annuale della Banca d'Italia c'è un paragrafo intero dedicato all'immigrazione. Si dà conto di un «deciso aumento» degli arrivi clandestini via mare saliti a 325 mila nel biennio 2014-2015 dai 55 mila del biennio precedente. La maggior parte non vengono dalle aree del Medioriente in guerra, ma da Paesi africani come Eritrea, Nigeria, Gambia, Somalia e Mali. Banca d'Italia fa il calcolo dei costi legata alla gestione degli stranieri. Nel biennio 2014-2015, 3,3 miliardi di costi diretti e altri 1,6 miliardi per spese indirette, come quelle sostenute dall'amministrazione e dalla sanità. Quindi 4,9 miliardi di euro.

AnS

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