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I senatori Usa? Non s'intendono di social

Le domande strampalate al creatore di Facebook: "Ma come vi finanziate?"

I senatori Usa? Non s'intendono di social

«Facebook è come Twitter?», «Il suo è un monopolio?», «Su WhatsApp si mandano le email?». I senatori che martedì hanno ascoltato le parole del fondatore e numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, hanno dimostrato di non essere del tutto pratici di profili, pagine e post. L'età media dei senatori, fa notare qualcuno su Twitter, è 62 anni. E tra i membri delle commissioni che hanno condotto l'audizione parecchi si aggirano attorno agli 80. Ma neanche i più giovani avevano le idee chiare, mostrando quanto poco l'utente medio conosca i meccanismi che stanno dietro a una piattaforma su cui trascorriamo buona parte del nostro tempo. Un mezzo sorriso e qualche pausa è tutto quello che Zuckerberg si è concesso di fronte alle domande più strampalate.

«Lei dice che Facebook rimarrà sempre gratuito, ma come sostenete un modello di business in cui non si paga per i servizi che si riceve?», esordisce il senatore Orrin Hatch. «Abbiamo la pubblicità», è costretto a ricordargli il capo di Menlo Park. «Mio figlio Charlie, che ha 13 anni, è appassionato di Instagram e mi ha detto di citarlo mentre sono qui con lei», ci tiene a menzionare un collega. Qualcun altro confonde posta elettronica e messaggini scambiati su WhatsApp, la società acquistata da Facebook nel 2014. «Se mando una email su WhatsApp, gli inserzionisti di Facebook ne vengono al corrente?», chiede infatti Brian Schatz. Alla risposta che nessuno può avere accesso ai contenuti, essendo l'app completamente criptata, il senatore insiste: «Le ho chiesto se i due sistemi (Facebook e WhatsApp) si parlano senza che un umano intervenga». Alcuni restano sul vago, chiedendo «quanti tipi di dati» il social network raccolga («Non sono sicuro di cosa ciò significhi», la replica), altri prendono di petto il tema delle presunte interferenze del Cremlino sulle elezioni presidenziali che hanno visto vincere Donald Trump: «Lei saprebbe confermare se queste pagine divisive sono create dai russi?». Un momento di imbarazzo è arrivato quando il senatore Dick Durbin ha chiesto a Zuckerberg se si sarebbe sentito a suo agio a condividere con i presenti il nome dell'hotel in cui alloggiava o i nomi delle persone con cui aveva scambiato messaggi quella settimana, richiamandosi ai dati personali sottratti da Cambridge Analytica.

C'è stato, infine, chi si è preparato a correre ai ripari. «Esistono alternative a Facebook nel settore privato? ha chiesto il senatore Lindsey Graham Se compro una Ford e non funziona bene o non mi piace più, posso comprare una Chevrolet. Se mi stufo di Facebook, qual è il prodotto equivalente a cui mi posso iscrivere?». «L'americano medio usa 8 diverse app per comunicare coi propri amici...», spiega Zuckerberg. «Ma lei non pensa di avere un monopolio nel settore?», si informa Graham.

«Direi proprio di non avere questa percezione», la risposta lapidaria.

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