Politica

«I soldi non sono il male, il problema è soltanto come vengono utilizzati»

Il banchiere esperto di Vaticano commenta le parole del Santo Padre «Inaccettabile l'idolatria del denaro»

Matteo Sacchi Ettore Gotti Tedeschi è economista e banchiere. Del capitalismo e dell'uso del denaro ha studiato intensamente e insegnato (in tre Università) il rapporto con l'etica. Questa sue riflessioni si sono tradotte anche in una serie di volumi divulgativi (come Amare Dio e fare soldi. Massime di economia divina o Denaro e paradiso. L'economia globale e il mondo cattolico) e in un contribuito alla stesura dell'enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI. Ecco perché ci siamo rivolti a lui per comprendere meglio come leggere l'omelia di ieri di Papa Bergoglio a Santa Marta in cui il Pontefice ha sottolineato che: «il denaro è nemico dell'armonia, il denaro è egoista». Dottor Gotti Tedeschi dobbiamo considerare il denaro lo sterco del Diavolo? «Prima di tutto non è detto che sia sempre sensato immaginare un punto di incontro tra Dio e i soldi. Dio è Dio e si adora. I soldi invece si producono, si spendono, in sé sono un oggetto neutro, un mezzo. Tutto dipende da come si producono e da come decidiamo di utilizzarli. I soldi sono fondamentali per fare il bene, per fare la carità, per evangelizzare. Quando si parla di Chiesa povera io non sono affatto d'accordo. Io vorrei una Chiesa ricca che usi la sua ricchezza per evangelizzare e combattere la povertà morale e il nichilismo gnostico che caratterizza il presente». Quindi il «Non potete servire a Dio e a Mammona» del Vangelo di Matteo? «Vede, in questo caso il bersaglio polemico del testo sacro non è il denaro. Non è la ricchezza ma l'idolatria della ricchezza. L'idolatria va sempre combattuta. Ma nel nostro tempo l'idolatria del denaro, che è sbagliata, è superata da ben altre idolatrie...». In che senso? «Le faccio un esempio. Oggi esiste un'idolatria della cultura, contro cui si è più volte speso Benedetto XVI, che ci porta verso un nichilismo gnostico ed egoistico. È questa che genera povertà morale e poi povertà materiale. L'eccesso peggiore del nostro tempo secondo me è questo. E in parte è colpa anche della Chiesa, di alcuni preti che si occupano poco di alimentare lo spirito». Però, le prime comunità cristiane, come ha ricordato Bergoglio, praticavano la povertà. Avrebbe senso oggi? «Gli apostoli praticavano un'esistenza umile e comunitaria ma fecero il loro lavoro di evangelizzazione così bene che molto presto la comunità cristiana si trovò a dover gestire enormi quantitativi di proprietà e di donazioni. Sul finire del secondo secolo d.C. ci si pose il problema di se fosse lecito usare quelle ricchezze. La risposta migliore la diede uno dei Padri della Chiesa: Clemente Alessandrino. Il denaro era uno strumento indispensabile per fare il bene. E lo è anche oggi, quello che conta è l'etica». Quindi, mi scusi se banalizzo, essere ricchi non è un demerito? «Non lo è, come essere poveri non è automaticamente un merito. Chi è ricco e genera ricchezza crea anche posti di lavoro, può fare opere caritatevoli. È un merito essere ricco e vivere da povero, nel senso che non bisogna idolatrare la propria ricchezza. Mi viene in mente una bella frase del filoso francese Jean Guitton: L'uomo possiede solamente ciò di cui può fare a meno». Allora come mai Papa Francesco ha spesso posizioni che potremmo definire come «pauperistiche»? «Intendiamoci, nella attuale situazione di crisi economica e con l'aumento della povertà è chiaro che sia necessario un richiamo alla sobrietà. E spesso, a mio modesto parere, Sua Santità parla rivolgendo un messaggio interno alla Chiesa, pensando a specifici abusi che avvengono al suo interno. Però questo messaggio non va frainteso.

Le contraddizioni del capitalismo di cui parlava anche Giovanni Paolo II non possono farci dimenticare quanto ci sia di buono nel produrre ricchezza».

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