Cronache

Iaquinta dal gol alla sbarra. A giudizio per 'ndrangheta

Gli investigatori in una perquisizione trovarono due pistole a casa del campione del mondo 2006

Iaquinta dal gol alla sbarra. A giudizio per 'ndrangheta

Dai fasti del mondiale alle aule giudiziarie. Per Vincenzo Iaquinta è forse la partita più difficile da giocare. Compare infatti anche il nome dell'attaccante campione del mondo con la Nazionale, assieme a quello del padre Giuseppe tra i 147 indagati rinviati a giudizio nell'ambito del maxiprocesso di 'ndrangheta denominato Aemilia. Ieri il Gup Francesca Zavaglia ne ha letto il dispositivo.

Padre e figlio sfileranno accompagnati dall'avvocato difensore Carlo Taormina, nel processo ordinario che inizierà il 23 marzo a Reggio Emilia. Con due posizioni completamente diverse, però. L'ex bomber della Juve, campione del mondo con l'Italia di Lippi nel 2006, risulta infatti indagato per due pistole, che gli sono state affidate dal padre e che lui custodiva in una cassaforte. Queste erano state trovate lo scorso febbraio, uando la villa di Vincenzo Iaquinta venne sottoposta a perquisizione. Fu lo stesso calciatore - che si è sempre detto estraneo all'accusa - ad indicare personalmente dove si trovavano le armi.

Invece Giuseppe Iaquinta, secondo gli inquirenti della Dda di Bologna è un soggetto di rilievo all'interno dell'organizzazione criminale: «Il complesso, la cadenza e la natura delle sue frequentazioni inducono a formulare giudizio di piena intraneità al consorzio criminale».

Secondo quanto riportato dall'ordinanza di custodia cautelare, Iaquinta senior intervenne a numerose riunioni, anche conviviali, con altri sodali e con appartenenti alle forze dell'ordine, che avvicinava con il pretesto di omaggiarli di alcuni gadget riferibili al figlio Vincenzo, già nazionale di serie A, all'epoca dei fatti con la nota squadra piemontese (il padre faceva anche da promotore e rispondeva spesso ai giornalisti, ndr).

C'è poi la presenza a cerimonie che, se non sono «i momenti più significativi della vita del clan», come scrivono gli inquirenti, sono perlomeno presenze imbarazzanti e inopportune. Poi ci sono gli affari. In particolare, in Aemilia, Iaquinta senior sarebbe colui che materialmente avrebbe procurato una somma di 1,5 milioni di euro di dollari affinché si potesse «ripulire» il bottino di una rapina ad un furgone blindato: questa somma risulta a disposizione di un soggetto pluripregiudicato, gravitante tra Nizza e Sanremo, che intavola - attraverso l'intermediazione della consulente bolognese di Nicolino Grande Aracri, Roberta Tattini - la conclusione dell'affare con il sodalizio di 'Ndrangheta emiliana rappresentato da Antonio Gualtieri e Romolo Villirillo. L'affare non va in porto. È la stessa test chiave , l'esperta di consulenze finanziarie Roberta Tattini, in una conversazione intercettata un anno dopo, a confermare che Iaquinta aveva la disponibilità del denaro.

Nelle udienze preliminari che si sono svolte finora a Bologna, l'avvocato Taormina si è esibito in una arringa con tanto di scarpe di Vincenzo picchiate sul tavolo, concentrando le energie nel tentativo di smontare proprio la teste-chiave Tattini.

Questa è caduta in contraddizione più volte, ma la foto sul suo cellulare, un selfie ricordo scattato con Vincenzo in un locale di Reggiolo e datato 19 giugno 2011, è stato ritenuto veritiero durante l'incidente probatorio, che era stato affidato un consulente del tribunale.

E proprio la Tattini rimarrà, nel processo ordinario a Reggio, il principale scoglio da superare per la famiglia Iaquinta, che finora è stata sempre presente durante le udienze, proclamando la innocenza.

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