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Ilva, pagheranno i cittadini. Berlusconi: governo incapace

Sembra inevitabile l'intervento pubblico. Pd e Italia viva vogliono lo scudo penale. Di Maio: così rischiamo

Ilva, pagheranno i cittadini. Berlusconi: governo incapace

Una nuova Alitalia dell'acciaio. La strada dell'intervento pubblico per accollarsi l'ex Ilva in seguito al probabile addio di Arcelor Mittal è sempre più concreta. La tragica esperienza del salvataggio (neppure riuscito) di Alitalia - costato complessivamente ai contribuenti più di 8,7 miliardi di euro secondo la stima di Mediobanca - non basta evidentemente a scoraggiare nuove avventure stataliste da parte del governo, soprattutto nella sua componente M5s coadiuvata da Leu, una fetta del Pd e dalla Cgil. L'esborso pubblico è dato come esito inevitabile dal leader azzurro Silvio Berlusconi: «Purtroppo, penso che sull'Ilva e, probabilmente anche su Alitalia, ci dovrà essere un intervento con i nostri soldi. Coi soldi pubblici. Questo per l'incapacità di questi signori al governo di risolvere altrimenti i problemi e le situazioni difficili. Noi, comunque, siamo contrari» dice l'ex premier.

Il governo non sa ancora come uscirne, i ministri danno pareri opposti. Una parte punta a far restare il gruppo franco-indiano a Taranto, togliendo «l'alibi» dello scudo penale. Tra questi c'è il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri (Pd) che sollecita una «soluzione sostenibile, di mercato» e assicura che la nazionalizzazione «non è un tema all'ordine del giorno». Il problema è che dai colleghi dell'esecutivo arrivano segnali contrari (per i ministri Patuanelli, Speranza, Boccia la statalizzazione è un'ipotesi da valutare). Poi c'è una terza via al vaglio di Palazzo Chigi, sempre attraverso l'aiuto pubblico, e prevede il ritorno della gestione commissariale, un «prestito ponte» (un finanziamento statale) di 700-800 milioni e quindi una nuova gara d'appalto che vedrebbe l'ingresso di una cordata composta da Cassa depositi e prestiti (quindi ministero del Tesoro), dal gruppo di Leonardo Del Vecchio, più forse Fincantieri e Leonardo. Poi c'è un'altra ipotesi ancora, sempre con i soldi pubblici, ed è quella presentata dalla grillina pugliese Barbara Lezzi e prevede il ricorso al Fsc (Fondo sviluppo e coesione) con «una spesa di 100 milioni di per l'anno 2019 e 300 milioni per ogni anno dal 2021 al 2027». In totale dunque 2,2 miliardi di euro.

Il quadro nella maggioranza è talmente caotico che Conte ha chiesto ai suoi ministri di inviargli «proposte, progetti, soluzioni normative o misure specifiche» su come uscire dalla grana Ilva, in vista del cdm di domani. Come dire: aiutatemi, che qui rischiamo l'osso del collo. E i tempi stringono, con il deposito da parte di Arcelor Mittal al Tribunale di Milano dell'atto di citazione ai fini del recesso dal contratto di affitto dell'ex Ilva, la premessa per l'addio a Taranto. La controfferta del premier non ha avuto risposte da parte del gruppo franco-indiano che sembra deciso a lasciare al proprio destino l'Italia giallorossa.

Il problema Ilva è soprattutto una mina nel campo del Movimento cinque stelle, l'artefice della modifica giuridica che ha portato alla rottura con l'investitore. Ieri il premier Conte ha incontrato i parlamentari tarantini del M5s, e con loro anche Luigi Di Maio. Le ricostruzioni parlano di un faccia a faccia molto teso, con uno scontro tra Conte e la Lezzi che sulla reintroduzione dello scudo avrebbe detto al premier «non lo voterò mai, puoi scordartelo». Indiscrezioni subito smentite dall'ufficio propaganda del movimento («Nessuna rivolta, solo una dialettica costruttiva»). Sempre nel M5s c'è aria di malcontento tra i parlamentari pugliesi non invitati al confronto, quelli come Gianluigi Paragone tifano per la nazionalizzazione, su cui però frena Di Maio perché «approvarla equivale a dire agli indiani che se ne possono andare, nonostante abbiano firmato un contratto. Devono restare qui. Andremo contro di loro in giudizio, c'è un cautelare che nei prossimi giorni depositeremo». Il leader politico del M5s è consapevole che sulla questione Ilva il governo si gioca la sopravvivenza. Nella riunione con Conte avrebbe detto che se la maggioranza si rompesse su un voto di fiducia in aula sullo scudo, sarebbe la crisi di governo.

Concetto che Di Maio ripete in modo più soft davanti alle telecamere di Rete4: «Se Pd e Italia viva presentano l'emendamento è un problema enorme».

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