Politica

Inchiesta Expo tra confusione e accanimento

Inchiesta Expo tra confusione e accanimento

Benvenuto, sindaco Sala, nel territorio accidentato dove si incrociano giustizia e politica, e dove le inchieste giudiziarie si usano anche per fare carriera e regolare conti. Davanti agli ultimi sviluppi dell'inchiesta a suo carico per la gestione di Expo, il sindaco di Milano dichiara di sentirsi «perseguitato» dalla Procura generale. Ha ragione. L'intera gestione dell'indagine contro di lui è un pasticcio in cui è difficile capire quali siano i reati, ed impossibile individuare un bandolo di senso nelle mosse degli inquirenti, in un andirivieni di accuse mosse e poi ritrattate, di interminabili pause di riflessione e di inspiegabili ripensamenti.

Una certa spensieratezza nel rispetto delle forme è un vizio costante di Beppe Sala, e questo giornale è stato il primo a denunciare le ingiustificabili omissioni delle sue dichiarazioni di beni e redditi. Ma una lettura spassionata delle carte delle indagini su Expo dimostra che le sole colpe di Sala sono stata la fretta nello stringere i tempi, l'ansia di non arrivare ad aprire il Primo Maggio 2015, il panico sotto il peso di ritardi che non gli erano imputabili. Per questo ha saltato dei passaggi, non per arricchire qualcuno: nessuno è stato danneggiato né avvantaggiato. Le violazioni formali vi furono, ma furono innocue: ed è bizzarro che in mezzo a tanti reati dalle conseguenze devastanti, a Milano si investano mesi di lavoro per indagare su un reato senza vittime.

Solo il procuratore generale Roberto Alfonso, che di questa operazione è il vero regista, sa quanto nel suo agire conti la sete di verità e quanto il protagonismo. Sta di fatto che il percorso seguito da Alfonso e dai suoi sostituti è di ostica comprensione. Prima si è presa una inchiesta già chiusa con un nulla di fatto, la si è risuscitata, si sono interpretate le stesse prove in modo opposto dalla Procura della Repubblica; poi si è allargata l'indagine ad altro, si è inventato un reato - la turbativa d'asta - che ora si ammette non essere mai esistito, e se ne ipotizza un altro. Vedremo quante altre sorprese ci riserva la vicenda.

Per adesso si può segnalare che la colpa di Sala sarebbe ora l'avere violato l'articolo 57 del codice appalti: lo stesso articolo che per importi ben superiori fu violato secondo l'Anac nelle spese per il tribunale di Milano, su input dei suoi giudici: ma su quello non si indaga.

Commenti