Cronache

"Inutili i bollettini estivi. E il rischio di crolli non può essere eliminato"

Lo scienziato: il ghiaccio non è come la neve. Tante le concause dietro la tragedia della Marmolada

"Inutili i bollettini estivi. E il rischio di crolli non può essere eliminato"

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Ha studiato palmo a palmo oltre 100 ghiacciai italiani e la Marmolada «specchio perfetto del cambiamento climatico». Roberto Francese è professore di geofisica e scienze geologiche applicate alla sostenibilità all'università di Parma. Da domenica ha visto la teoria dei suoi studi trasformarsi nel dramma della realtà.

Professore, quali ghiacciai italiani sono monitorati?

«Degli 835 bacini, solo due, effettivamente instabili. Sono a Planpincieux in valle d'Aosta e una porzione dell'Adamello, il più grande ghiacciaio italiano. Ora si aggiunge la Marmolada. La presenza di acqua o la fuoriuscita di cascate dal ghiaccio sono, però, caratteristiche presenti da anni in tutti i ghiacciai e non sono il sintomo di un crollo imminente».

Come vengono studiati gli altri ghiacciai?

«Ogni settembre si aggiornano i dati grazie alla campagna del Comitato glaciologico italiano. L'ultimo catasto, invece, è del 2015».

Come viene condotta la campagna?

«Oggi si misura principalmente l'arretramento del fronte del ghiaccio, un tempo si studiava anche l'assottigliamento dello spessore. Al fronte di molti ghiacciai oggi è, però, pericoloso perfino avvicinarsi».

Chi conduce i rilievi?

«È una campagna scientifica che, sul campo, si basa su volontari: esperti di montagna, semplici persone della zona».

Può bastare?

«Non esistono strumenti adeguati a eliminare il rischio di crolli».

D'inverno ci sono i bollettini per le valanghe: d'estate non esiste uno strumento simile?

«I bollettini riguardano la neve e sono fatti su una porzione campione di pendio: nevica, si misura il manto, la densità e il rischio di scivolamento di uno strato nuovo sul precedente. L'algoritmo elabora e produce la famosa scala di rischio da 1 a 5. Bastano poche risorse, anche umane. Un ghiacciaio è tutt'altra cosa: ognuno ha storia a sè e poggia su un pendio o un tipo di roccia diversi. Inoltre ha mille lingue e diramazioni dove la situazione cambia di metro in metro. Non è questa la strada giusta».

Allora qual è?

«C'è un progetto per realizzare un monitoraggio simile a quello delle stazioni sismiche, ma non è ancora in funzione. Sappiamo ancora poco dei ghiacciai, per esempio quanto e come impatti l'acqua di fusione interna, il suo peso nel cuore del ghiacciaio, come è accaduto sulla Marmolada».

Servono soldi per la ricerca?

«I soldi non mancano: come sempre in Italia, semmai, serve più coraggio per modificare l'approccio. L'Italia è piena di opere inutili perché non si è studiata a fondo la causa di un problema. Inoltre la ricerca si è concentrata più sulle frane a bassa quota che spesso minacciano più direttamente l'uomo».

Sulla Marmolada è davvero accaduto l'imprevedibile?

«È un ghiacciaio di bassa quota e a pendio. Quei seracchi erano noti dal 2017. Potevano cadere prima o mai. Una serie di concause ha concorso alla tragedia: domenica, il primo pomeriggio, l'estate. Purtroppo è così».

Sarà possibile mettere in sicurezza la Marmolada?

«Si potrebbero far brillare i due seracchi ora sospesi, ma il ghiaccio è ancorato ai fianchi della montagna. Non è semplice».

Giusto chiudere in attesa che la Natura faccia il suo corso?

«Temporaneamente sì, anche per bloccare i turisti del macabro. La via Normale e pian dei Fiacconi restano, poi, sotto la linea di caduta dei seracchi.

La chiusura totale, però, è forse più una scelta politica dettata dal dolore e dal momento».

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