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"Io, imputato per 11 anni senza neanche una sentenza Fermare i processi è civiltà"

L'odissea giudiziaria dell'ex senatore Pd: «All'Italia servirebbe una riforma della custodia cautelare»

"Io, imputato per 11 anni senza neanche una sentenza Fermare i processi è civiltà"

Per i 5 Stelle è uno dei miracolati dalla prescrizione, uno di quelli che la fanno franca grazie ai trucchi dei loro avvocati. Peccato che la storia dell'ex senatore del Pd Alberto Tedesco, «il mio calvario» come lo chiama lui, racconti un'altra verità, comune a migliaia di processi in Italia: un processo infinito dove sono prima la Procura e poi i giudici a impiegare tempi inverosimili a fare il loro lavoro, dove imputati muoiono prima della sentenza, e dove alla fine la prescrizione arriva a impedire che il processo si trascini in eterno.

Dicono che la lentezza dei processi è colpa degli imputati e dei loro avvocati.

«Io non ho mai chiesto il rinvio di una sola udienza. Quando i giudici sono cambiati, ed è accaduto tre volte, avrei potuto chiedere di ricominciare daccapo. Non l'ho fatto».

Quanto è durato il suo processo?

«Undici anni».

Come è stato possibile?

«Ero assessore alla Sanità della Regione Puglia. Hanno iniziato a indagare su di me nel 2008, in base ad una intercettazione casuale. Nel 2009 esce la notizia Ansa: ero indagato dal pool antimafia per associazione a delinquere, corruzione, concussione e una lunga serie di altri reati. Ho chiesto di essere interrogato: richiesta respinta. Due anni dopo chiedono al Senato l'autorizzazione ad arrestarmi, io chiedo ai colleghi di votare a favore, loro respingono la richiesta. Nel 2013, il giorno stesso dello scioglimento del Senato, mi telefona la polizia giudiziaria da Bari: dobbiamo arrestarla. E finisco ai domiciliari».

L'inchiesta intanto va avanti?

«Con una lentezza incredibile. Il processo a mio carico comincia solo nel 2014, a sei anni dall'inizio delle indagini. La Procura chiede di convocare in aula centocinquanta testimoni. A sentirli tutti ci hanno messo quattro anni. Dei pm che mi avevano incriminato non ne era rimasto neanche uno, e quelli nuovi dovevano ristudiare tutto. Nel 2018, quando hanno iniziato a interrogare i miei testimoni, ormai era tutto prescritto. Nel 2019 è arrivata la sentenza: prosciolto per prescrizione».

Alla prescrizione lei poteva rinuciare.

«Volevo farlo perché so di essere innocente. Tutti i miei coimputati giudicati a parte sono stati assolti. Di quelli che erano a processo insieme a me, solo tre non erano prescritti: sono stati assolti con formula piena».

E allora perché non ha rinunciato?

«I miei avvocati mi hanno detto che avrei dovuto trovarmi un altro difensore. Se sfidi la magistratura ti prendono a calci nel sedere. Sei un uomo finito».

Come si vivono undici anni nel limbo?

«Non voglio parlare della vita privata, dei familiari che si sono ammalati eccetera: dico solo che tutto quello che poteva accadermi è successo. Parlo della vita pubblica, della emarginazione assoluta, totale. Poche ore dopo che il Senato aveva votato contro il mio arresto, il mio segretario Pierluigi Bersani disse all'Ansa che dovevo dimettermi da parlamentare. Io gli risposi nei denti che piuttosto mi dimettevo dal Pd. E così feci».

Ora il Pd si trova al governo insieme al partito che della abolizione della prescrizione ha fatto prima una bandiera e ora un trionfo.

«Vediamo cosa accadrà. Io, che l'ho provata sulla mia pelle, dico che la prescrizione è un istituto di civiltà, che va non solo reintrodotta ma anche rafforzata, garantendo davvero la ragionevole durata dei processi.

La vera riforma che servirebbe alla giustizia in questo paese è la riforma della custodia cautelare, una barbarie che andrebbe usata solo nei casi estremi».

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