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Isis: "Americana uccisa dai giordani"

Il Califfato annuncia la morte dell'unico ostaggio donna nelle sue mani: "Colpa dei raid dei caccia di Amman" Sostieni il reportage

Isis: "Americana uccisa dai giordani"

Kayla Jean Mueller, l'unica donna ostaggio americana dello Stato islamico, sarebbe morta sotto le bombe dei caccia giordani che stanno martellando le basi del califfato in Siria. I tagliagole della guerra santa hanno lanciato via twitter la foto di una palazzina fatta a pezzi nell'attacco aereo. La prigione della giovane cooperante Usa di 26 anni rapita nel 2013. Il commento alla foto delle pareti sprofondate nei crateri delle bombe porta la sigla dello Stato islamico e non lascerebbe dubbi: «Sotto quelle macerie è rimasto sepolto l'ostaggio Kayla Jean Mueller».

L'immagine è stata scattata a Raqqa, la «capitale» dello Stato islamico in Siria pesantemente bombardata nelle ultime ore dai caccia di Amman. Una rappresaglia alla brutale esecuzione di Muath al-Kasesbeh, il pilota giordano arso vivo dai seguaci del Califfo. Nessun video o immagine del corpo della cooperante è stato divulgato, ma solo delle foto della rapita negli Usa che si trovano in rete. «Ci risulta l'uccisione dell'ostaggio donna americana sotto il fuoco dei raid», è uno dei tweet dei terroristi. La famiglia e Washington si sono sempre rifiutati di rivelare il nome della ragazza rapita, ma i portavoce online dello Stato islamico hanno fornito oltre alle generalità anche l'indirizzo esatto dell'ostaggio in Arizona. A Prescott vivono i genitori Marsha e Carl Mueller.

Il Pentagono ha fatto sapere che al momento «non ci sono prove» che la cooperante americana sia rimasta uccisa durante i raid. I terroristi avevano chiesto un riscatto di 6,6 milioni di dollari ed il rilascio di Aafia Siddiqui, la neuroscienziata pachistana soprannominata «Lady Al Qaida», in carcere negli Usa per il tentato omicidio di un paio di agenti dell'Fbi.

«Sono solidale con il popolo siriano. Rifiuto la brutalità e gli omicidi che il regime sta commettendo. Il silenzio significa complicità con questi crimini» diceva Kayla su YouTube nell'ottobre 2011 in un video di protesta. L'impressione leggendo le sue dichiarazioni sul conflitto in Siria è che la ragazza dell'Arizona sia molto simile alle nostre Greta e Vanessa innamorate della causa dei ribelli, ma corrisposte con un sequestro.

Kayla era spinta, come le due italiane più fortunate, da una solidarietà per i più deboli mista ad un attivismo pro ribelli. «I siriani stanno morendo a migliaia e combattono solo per avere i diritti che noi abbiamo» sosteneva la ragazza. Si era fatta le ossa con la campagna a favore delle vittime dei massacri in Darfur e l'aiuto ai siriani l'ha spinta in Turchia con la ong «Support to life». Nell'agosto 2013 è stata rapita assieme ad altri volontari, poi rilasciati. Kayla, americana, è finita nelle mani dello Stato islamico, nonostante, come Greta e Vanessa, fosse decisamente critica del mancato intervento occidentale contro Damasco. In una conferenza nella sua città, pochi mesi prima di venir rapita, aveva ribadito che il passo «numero uno doveva essere la creazione di una zona di non sorvolo sui campi dei rifugiati siriani».

Con gli stessi caccia che probabilmente l'hanno uccisa dopo essere stata usata come scudo umano dai ribelli terroristi.

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