Politica

La jihadista italo-marocchina «Voglio tornare ma ho paura»

Partita lo scorso luglio per arruolarsi nell'Isis, ha chiamato il padre dalla Siria e ha chiesto aiuto. La sua vita è a rischio

Serenella BettinPadova «Voglio tornare a casa ma ho paura». Meriem Rehaily è la ragazza padovana, di origini marocchine, che a luglio scorso era partita da Arzergrande, in provincia di Padova, dove viveva con la sua famiglia, per arruolarsi nell'Isis. Un mese fa avrebbe chiamato un familiare dicendo di essersi pentita, di voler tornare a casa ma di temere perché il Califfato la ammazzerebbe. Uno Stato infatti, quello islamico, che se ti lascia entrare, non è detto che ti faccia uscire. La chiamata, come riportano i siti di informazione locali, è stata intercettata dalla Siria. Il padre della 19enne, Roudani Rehaily, dal 14 luglio non ha più notizie di lei né sa dove essa sia. Ma a rivelare di aver ricevuto un'altra telefonata da un numero privato è stato anche il papà stesso, durante il programma Virus di Rai 2 andato in onda il 3 dicembre scorso. Le chiamate a questo punto sarebbero due.«È arrivata una chiamata veloce dove sentivo che Meriem piangeva - disse allora il padre -. Anche la mamma ha pianto, poi è svenuta. Ho chiesto a Meriem dove sei, cos'è successo, ma non mi ha risposto». Ora tornare potrebbe costare caro a questa ragazza. Anche i Carabinieri temono per la sua vita. Lo Stato Islamico non ammette diserzioni né ripensamenti e si teme per la sua condanna a morte. Spesso chi diserta l'Isis viene fatto prigioniero o addirittura ucciso. È per questo che aver rivelato di aver ricevuto una chiamata da parte di Meriem, ora potrebbe essere molto pericoloso per lei. È stato aperto un protocollo internazionale e lo scopo è soltanto uno: capire dove sia la ragazza, proteggerla e con lei la sua famiglia. Le indagini sono condotte dai Carabinieri del Ros di Padova e coordinate dalla Procura di Venezia. «Ha anche chiuso il suo profilo Facebook aveva detto il padre i terroristi vogliono così: devi chiudere tutti i tuoi contatti, tutti i ponti con la famiglia». E infatti il Califfato è proprio questo che fa, controlla rigidamente chi si arruola, anche le chiamate telefoniche. «Mia figlia è una vittima aveva detto il padre devo capire come ha fatto da un giorno all'altro, in sole 24 ore, ad andare a Bologna, prendere un volo per la Turchia e arrivare in Siria. Lei che non aveva mai viaggiato da sola».Meriem frequentava la classe quarta dell'istituto tecnico De Nicola di Piove di Sacco, nel Padovano. In un tema in classe aveva raccontato la sua passione per le milizie dello Stato Islamico. Da qui le forze dell'ordine cominciarono a tenerla d'occhio. Poi un giorno avrebbe detto al padre di voler andare al mare con le amiche e da quel momento di lei si sono perse le tracce. Si sarebbe imbarcata in un aereo da Bologna per raggiungere Istanbul. Nel giro di pochi mesi sarebbe diventata, sotto il nome di Sorella Rim, la portavoce web delle ideologie jihadiste. Faceva attività di proselitismo. Era un soldato dell'esercito informatico del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. E sarebbe stata lei a occuparsi del cyber-jihad, la guerra santa tecnologica. Una battaglia che non si combatte più soltanto via aerea, via mare o via terra ma anche e soprattutto via web. È da lì che a volte comincia tutto. Una guerra che sta dando i suoi frutti più amari.

Sono oltre 550 le ragazze e le donne reclutate, che dall'Occidente sono andate a combattere con l'Isis.

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