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Jobs Act e lavoro stabile. Una scommessa nata persa

Jobs Act e lavoro stabile. Una scommessa nata persa

Mai fare troppo affidamento sulle scommesse. Uno che di lavoro se ne intende, o almeno così dovrebbe essere, Giuliano Poletti, titolare appunto del ministero del Lavoro, dichiarò, nel febbraio del 2015, al momento del varo di quel Jobs Act paragonato a una grande rivoluzione: «La nostra scommessa è puntare sui contratti a tempo indeterminato rovesciando una mentalità che, fino a oggi, voleva che si assumesse con qualunque contratto tranne con quello a tempo indeterminato». Tanto per cambiare, gli fece eco Renzi: «È una giornata storica attesa per molti anni da un'intera generazione che ha visto la politica fare la guerra ai precari, ma non al precariato. Superiamo l'articolo 18 e i cococò. Nessuno sarà lasciato più solo». A distanza di quindici mesi da quei solenni proclami, i dati, purtroppo, parlano chiaro e le promesse si frantumano contro il muro della dura realtà. È inutile che il premier parli di «balle clamorose» sul Jobs Act: il consuntivo del primo trimestre del 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, dice che le assunzioni a tempo indeterminato sono scese di un terzo rispetto all'anno scorso, qualcosa come il 33,4%. Insomma, dopo le tante speranze, una caduta verticale che finisce per rendere pericolante quello che era stato definito il più importante monumento dell'era di Matteo. Con le attenuanti del caso (nei primi mesi dell'anno scorso, ma non solo, l'effetto novità, a proposito della nuova legge, aveva certamente dato una bella spinta), una simile caduta non era davvero prevedibile. Anche perché se andiamo, poi, a confrontare l'andamento di questo inizio 2016 con l'ultimo scorcio del 2015 la discesa appare ugualmente sensibile.

È vero, a Natale c'era stato un vero e proprio boom perché le imprese avevano voluto usufruire proprio al novantesimo minuto del vecchio «bonus» che era più ricco di quello attuale, ma la differenza è comunque davvero troppa. Anche perché, alla faccia della lotta al precariato solennemente proclamata da Renzi, è contemporaneamente aumentata la vendita dei voucher del valore nominale di 10 euro, che finiscono per alimentare proprio quel lavoro instabile che si vorrebbe combattere. Tra gennaio e febbraio sono, infatti, andati letteralmente a ruba (19,6 milioni), tanto da far sembrare il premier un Don Chischiotte e il rotondo Poletti un Sancio Panza (nomen omen, come insegna l'imitazione di Crozza) che vanno all'assalto, lancia in resta, dei mulini a vento. Per approfondire meglio l'argomento, ho interpellato Giuliano Cazzola che ha una marcia in più a differenza di altri pseudo-esperti che bazzicano Palazzo Chigi. Il giuslavorista bolognese, grande amico di Marco Biagi, mette giustamente le mani avanti prima di pronunciare sentenze definitiva, ma si chiede: quante di queste ore con il voucher sono state effettivamente sottratte al lavoro stabile o comunque meglio tutelato e quante sono, invece, state salvate dal lavoro sommerso? È, comunque, già chiaro, al di là delle opportune verifiche, che i due capisaldi - più lavoro stabile e meno lavoro saltuario - del nostro Jobs Act stanno vistosamente scricchiolando. E adesso Poletti cerca di correre ai ripari con un'altra promessa solenne: dal prossimo anno il governo attuerà tagli strutturali al cuneo fiscale in modo da ridurre il costo del lavoro proprio per i contratti a tempo indeterminato. Alla fine, chi sta davvero raccontando balle? I giornali o Palazzo Chigi? Di questo passo, il premier e il suo ministro del Lavoro rischiano di perdere troppe scommesse: sarebbe opportuno che, in futuro, la strana coppia lasciasse che altri facessero i bookmakers.

A ciascuno il proprio lavoro.

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