Politica

Squinzi, l'addio a un campione non solo degli industriali

È scomparso a 76 anni il «signor Mapei». Per anni presidente di Confindustria, ha portato la chimica italiana nel mondo

Squinzi, l'addio a un campione non solo degli industriali

«Crediamo davvero in quello che facciamo e non siamo mai arrivati al punto di chiudere o licenziare persone». Parola di Giorgio Squinzi, un imprenditore che ha portato l'azienda chimica di famiglia, fondata nel 1937, da realtà prettamente milanese e poi nazionale a gruppo globale con 2,5 miliardi di fatturato, 81 stabilimenti nel mondo e 10mila dipendenti. Un'impresa ereditata dal padre e tramandata ai figli Marco e Veronica con i quali condivideva la guida assieme alla moglie Veronica. Un'espansione all'insegna del dialogo, dell'ascolto, della lungimiranza. Non a caso uno dei suoi migliori amici era un altro imprenditore, milanese e milanista, che come lui s'era sempre pregiato di non aver licenziato nessun collaboratore: Silvio Berlusconi. E non è un caso che il primo messaggio di cordoglio dalla politica sia giunto dal vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani. «L'Italia e l'Europa perdono un grande imprenditore, un visionario che ha esportato nel mondo il nostro saper fare. Ho condiviso con lui tante battaglie per difendere l'industria», ha dichiarato.

«Milano e l'Italia perdono un riferimento importante». Così lo ha commemorato il sindaco del capoluogo lombardo, Beppe Sala. Perché la storia di Giorgio Squinzi è una storia milanese, di un'industria che ha sempre mantenuto il suo cuore e il suo centro di ricerca a Viale Jenner, anche quando il distretto della ceramica di Sassuolo era diventato il core business. Una delle più grandi vittorie a livello imprenditoriale, al di là dell'internazionalizzazione, era stata l'aver saputo rilanciare un'impresa «condannata a morte» dopo il fallimento del sogno Enimont: la Vinavil. «Era un'azienda decotta e l'abbiamo riportata a livelli alti», aveva detto. Rilevato lo stabilimento sull'orlo della chiusura, ha assunto quasi 360 dipendenti e l'ha riportato in utile.

Giorgio Squinzi è stato anche «politico», guidando prima Federchimica e, poi, Confindustria dal 2012 al 2016. Come leader delle aziende chimiche siglò un contratto innovativo e generoso, portando al tavolo la Cgil, mossa i «conservatori» di Viale dell'Astronomia stigmatizzarono. L'inclusività è sempre stata la cifra della sua azione e, anche quando salì al gradino più alto dell'associazione degli industriali, chiamò accanto a sé il rivale nella corsa, Alberto Bombassei. Certamente, da presidente di Confindustria Squinzi avrebbe potuto fare di più, ma non fu colpa sua. La Cgil di Susanna Camusso lo prese di mira e rifiutò di siglare una riforma della contrattazione legata alla produttività. La Fca di Sergio Marchionne, che aveva capito l'andazzo, lasciò Confindustria scegliendo la strada del contratto aziendale.

Ma il manager italo-canadese conservò intatta la propria stima per l'uomo Squinzi la cui lungimiranza non aveva trovato interlocutori di pari livello.

Commenti