Cronache

Laika e gli altri "astroanimali" sacrificati in nome della Luna

Nel 1957 i sovietici la mandarono nello spazio. L'animale morì di stenti e paura. Come lei tanti altri

Laika e gli altri "astroanimali" sacrificati in nome della Luna

Era il novembre di quasi 60 anni fa. In quel gelido mese d'inverno e in piena guerra fredda, nel ghiaccio del suolo sovietico, si ergeva una rampa di lancio che guardava il cielo.

La sanguinosa e tragica Seconda Guerra si era conclusa da pochi anni e, nonostante la vittoria sulla Germania che aveva visto le due potenze affiancarsi alla Gran Bretagna per stroncare il folle sogno di Hitler, i sovietici e gli americani si consideravano in tutto e per tutto agli antipodi.

I sovietici sfruttarono le V2 tedesche di Von Braun, lanciandole a 100 Km. di altezza con dentro due cani, nella speranza di trarre dagli animali qualche informazione. Naturalmente non recuperarono nulla, neanche le ceneri, figuriamoci le informazioni che volevano.

Il 4 ottobre del 1957 la Russia lancia nello spazio lo Sputnik 1 affermando la sua momentanea supremazia sugli Stati Uniti. Il mese dopo i sovietici vogliono dare scacco matto agli americani e Nikita Khrushchev obbliga il capo delle ricerche spaziali, Sergei Korolev, ad accelerare il programma per rendere omaggio al 40° anniversario della rivoluzione d'ottobre.

Korolev si accorge che il sogno di mandare in orbita esseri umani è ancora prematuro, ma viene pressato perché programmi un evento degno di glorificare l'anniversario. Finora i cani, che saranno un punto fermo negli esperimenti spaziali dei sovietici, avevano effettuato pochissimi voli suborbitali, ma nessuno era ancora stato lanciato nell'atmosfera.

Da quella rampa di lancio immersa nel ghiaccio del cosmodromo di Bayqoñyr, si alzò lo Sputnik 2 che, con enorme sorpresa in tutto il mondo, conteneva un piccolo cane circa 6 chili di peso, bianco a chiazze marroni, un randagio che i russi chiamarono Kudrjavka («ricciolina»), mentre per gli angloamericani era Muttnik (una crasi formata da mutt che in inglese significa «bastardino» e «Sputnik») e nelle altre parti del mondo fu universalmente Laika. Allo stupore seguirono le proteste, soprattutto quelle degli inglesi, popolo già molto attento allora ai diritti degli animali. I sovietici, di cui erano già famosi i «raffreddori» degli statisti morenti, raccontarono un sacco di frottole: Laika non aveva subito alcun disagio durante l'addestramento e tutto era predisposto perché potesse tornare a terra. In realtà l'addestramento, tra centrifughe e gabbie strettissime fu un inferno e oggi, sappiamo direttamente da Dimitri Malashenkov dell'Istituto per i problemi biologici di Mosca, che la piccola randagina morì in poche ore, quando il surriscaldamento dello Sputnik la bruciò viva. Meglio così perché, incatenata, senza potersi girare, terrorizzata da quell'ignoto che non poteva capire, otto giorni di vita in quelle condizioni, come raccontarono i sovietici, sarebbero stati una tortura infinita.

Oleg Gazenko, responsabile della missione, disse nel 1998 che provava rammarico per la morte della cagnolina e che si era trattato di un inutile sacrificio.

L'utilizzo di cani, gatti, topi, scimmie e altre specie, nella corsa allo spazio, è una pagina oscura per l'uomo che ha immolato inutilmente e crudelmente centinaia di vittime predestinate.

I più recenti, il macaco «lanciato» dagli iraniani nel settembre del 2011 che, con un goffo fotomontaggio, hanno pensato fossimo tutti imbecilli nel crederlo rientrato vivo a terra.

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