Cronache

L'altra metà dell'alta cucina. E le stelle stanno a guardare

Poche e senza visibilità: le donne faticano a imporsi in un mondo molto maschile. Con qualche eccezione

L'altra metà dell'alta cucina. E le stelle stanno a guardare

L'altra metà del fornello in realtà è i tre quarti quando si resta in casa. E un decimo quando si va al ristorante.

È il paradosso della cucina. Se è servizio, caregiving, timbratura di domestico cartellino, è ancora soprattutto maledettamente affare di donne. Quando diventa arte gli artisti iniziano a giocare. E sono per lo più uomini.

I numeri. I numeri sono spietati. Nel mondo ci sono soltanto 134 chef stellate su oltre 3300. Poche, pochissime. L'Italia da questo punto di vista è una sorta di avanguardia, con 45 chef stellate, praticamente un terzo del totale mondiale. E se si guarda alla classifica del 50 Best che ogni anno mette in fila i migliori ristoranti del mondo, la prima donna si incontra al 25° posto: è la messicana (e vagamente somigliante a Frida Kahlo) Daniela Soto-Iness, del Cosme di New York; segue al 31° posto la basca Elena Arzak di Arzak a San Sebastian; e al 48° la slovena Ana Ros di Hisa Franko a Hobarid.

Le donne sono tenute lontane dal red carpet della gastronomia per pregiudizi fisici («non riescono a resistere tutte quelle ore a fare un lavoro così faticoso») e psicologici («non reggono il clima casermesco e violento di una brigata maschile»). Qualche volta perfino perché la mano femminile viene considerata troppo delicata. «Ma sfido chiunque a riconoscere un piatto fatto da una donna da uno realizzato da un uomo», dice beffarda Antonia Klugmann, chef dell'Argine a Vencò a Dolegna del Collio, in Friuli, resa nota anche dall'essere stata l'unica giudice donna nella storia ormai decennale di Masterchef Italia.

Poi ci sono le eccezioni. Come quella rappresentata da Philippe Léveillé, chef bretone che nel suo Miramonti l'Altro di Concesio è circondato solo da donne. E non per caso. «Ricevo solo curricula di donne perché ho iniziato anni fa a scegliere come sous chef una donna, poi sono diventate due poi tre. Il cambio di visione l'ho avuto dieci anni fa grazie alla bravura di due stagiste. A partire da quel momento, in maniera naturale e non forzata, ho assunto quasi tutte donne, sia in sala che in cucina, under 27. Dietro ai fornelli del mio locale ci sono 9 donne su 10 compresa la sous chef 25enne Arianna Gatti, mio braccio destro da qualche anno. Negli anni ho notato che rispetto agli uomini sono piú organizzate, motivate, competenti ed equilibrate».

Le storiche. In Italia ci sono due tristellate: una, Annie Féolde dell'Enoteca Pinchiorri, in realtà in cucina non ci va più ma resta la titolare dell'idea gastronomica del locale fiorentino. Nadia Santini del pescatore di Canneto sull'Oglio, condivide la gloria e la ditta con il marito Antonio, che dirige la sala. Altra chef di lungo corso è Valeria Piccini, due stelle Michelin a Montemarano, nel Grossetano, da Caino. E poi c'è Luisa Valazza del Sorriso di Soriso, nel Novarese.

Le frontwomen. Le chef che negli ultimi anni sono riuscite a conquistare la copertina sono Cristina Bowerman, resa inconfondibile da acconciature «fluo» di cui ora non avrebbe più bisogno, essendo il suo Glass Hostaria da anni incontestabilmente uno dei migliori ristoranti di Roma. La marchesiana Viviana Varese, che a Milano dà un tocco stellato alle cucine del suo Alice in cima a Eataly Smeraldo. E la già citata Antonia Klugmann.

Le giovani. Martina Caruso pochi giorni fa ha vinto il premio Atelier des Grand Dames voluto da Veuve Clicquot e dalla guida Michelin per premiare la migliore chef donna d'Italia. Lei, classe 1989, pare faccia miracolo al Signum di Salina. Ci sono poi Solaika Marrocco, nemmeno 24 anni ma già alla testa del Primo restaurant di Lecce. Sempre a Lecce Isabella Potì di Bros, che ha dalla sua anche un fisico da mannequin. E un'altra chef avvenente è Chiara Pavan, che guida il ristorante del wine resort Venissa sull'isola di Mazzorbo nella laguna veneziana, premiata pochi mesi fa come miglire chef donna dalla guida dell'Espresso.

La emergenti. Le altre «terrone» Marianna Vitale (1980) di Sud a Quarto, nel Napoletano, Rosanna Marziale de Le Colonne Marziale di Caserta e Caterina Ceraudo, che viene da una famiglia di vignaioli calabresi ma ha preferito in solido al liquido cucinando al Dattilo a Crotone. Fabrizia Meroi sta per compiere 50 anni ma sembra debba dare ancora il suo meglio (nel 2018 il premio Michelin lo vinse lei). C'è Aurora Mazzucchelli del Ristorante Marconi a Sasso Marconi, un'altra che solo ora sembra raccogliere i frutti del suo talento e del suo rigore. Meritano ancora una citazione Iside de Cesare della Parolina di Trevinano, nell'Alto Lazio; Maria Cicorella di Pasha a Conversano in provincia di Bari; Michelina Fischetti di Oasis-Antichi Sapori a Vallesaccarda (Avellino); Isa Mazzocchi di La Palta a Borgonovo Val Tidone (Piacenza). La vita è rosa.

E golosa.

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