Politica

L'angolo cieco e rischioso di certe adozioni in «crisi»

di Daniela Missaglia

L a cronaca ci restituisce ogni giorno l'orrore che si nasconde nelle pieghe di rapporti familiari con vicende che, se non fossero vere, sembrerebbero surreali e ci costringono a fare i conti con realtà drammatiche dove i mostri dimorano tra le mura domestiche. L'ultima disgrazia si è consumata a Cagliari dove un ventottenne ha barbaramente seviziato, picchiato e ucciso i genitori adottivi, dormendo due notti in casa vicino ai loro cadaveri trasfigurati. Si è poi cambiato, ha acquistato droga ed è andato a giocare alle slot, salvo poi essere arrestato dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri. Il protagonista di questa mattanza è un ragazzo di origine russa adottato, con il fratello, dai coniugi uccisi. Non è irrilevante il dettaglio, in quanto vi è una vasta casistica, soprattutto nelle adozioni internazionali, di criticità che si sviluppano nel corso degli anni. Si dirà che Pietro Maso ed Erica De Nardo, responsabili del medesimo atroce delitto ai danni dei propri genitori, erano italianissimi e concepiti tradizionalmente, ma non si può ugualmente utilizzarli «a prova contraria» per nascondere un fenomeno dotato di significativa incidenza statistica: nel contesto d'origine, i minori abbandonati crescono, nei primi anni di vita, spesso in contesti altamente pregiudizievoli, hanno subito violenze e soprusi o manifestato disagi psichici non curati e nemmeno segnalati alle famiglie adottanti. L'onda lunga di questi pregressi finisce così per manifestarsi nell'età dello sviluppo o da adulti: lo stesso Luigi Chiatti risultò essere stato vittima di abusi negli anni dell'orfanotrofio e sappiamo tutti cosa sia diventato. Nel caso di Cagliari la debolezza psichica strutturale di questo ragazzo ha finito poi per trovare un alleato decisivo e ferale nella droga, l'altra componente degenerativa dell'età moderna, che obnubila menti indebolite e fragili inducendo a compiere atti del tutto privi di lucidità ed umanità. Le famiglie adottive, di fronte a figli violenti, vivono una doppia difficoltà nel fronteggiare la situazione: quella di essere genitori, sfida già improba, e quella di vivere un senso generale di colpa che li induce a non ricorrere ai rimedi che la Legge prevede, dal coinvolgimento spontaneo dei Servizi sociali alla denuncia penale o all'ordine di protezione familiare con allontanamento del figlio comminato giudizialmente. È come se la grandezza del loro gesto d'amore originario non sia compatibile con una reazione protettiva di questo tipo, concepito come un tradimento della loro missione: ma così facendo i genitori adottivi espongono se stessi ai rischi dei poveri coniugi cagliaritani che hanno vissuto la perdizione del figlio senza essere stati in grado di intervenire ed ora quest'ultimo è in carcere e loro al cimitero.

Non vi è differenza tra l'essere genitori adottivi e genitori naturali ma i primi spesso si muovono su un diverso binario proprio in funzione di questo stato psicologico che li induce a rinunciare a scelte drastiche, che invece dovrebbero fare anche nell'interesse dei loro figli.

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