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L'apartheid dei cambiamenti climatici. I ricchi emigrano, i poveri muoiono

Il relatore delle Nazioni Unite sulla povertà: chi ha le risorse economiche andrà nel Nord del mondo, gli altri soccomberanno

L'apartheid dei cambiamenti climatici. I ricchi emigrano, i poveri muoiono

L'umanità va incontro all'apartheid climatica dove i ricchi se la caveranno emigrando nel Nord del mondo e i poveri soccomberanno inevitabilmente. Mica una fuga dalle guerre, qui c'è l'apoteosi della migrazione economica, quella che in troppi fanno finta di non vedere. Sembra avverarsi la profezia del film 2022: i sopravvissuti, dove i poveri pagavano pur di andare a morire con l'aria condizionata sulle note di Beethoven, piuttosto che vivere da reietti a mangiare orrido cibo liofilizzato.

Per ora si tratta solo di una previsione del signor Philip Alston, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani. Tutta colpa, dice Alston, di Donald Trump e di Jair Bolsonaro, i presidenti di Stati Uniti e Brasile. Il primo persiste a ignorare gli allarmi degli ambientalisti e il secondo si è messo in testa la malsana idea di aprire la foresta pluviale amazzonica alle miniere. E fortuna, dice Alston, che c'è Greta con i suoi scioperi scolastici. In ballo non ci sarebbero solo i diritti basilari alla vita, all'acqua, al cibo e alla casa. Centinaia di milioni di persone rischierebbero di perdere la democrazia e lo stato di diritto. Una catastrofe dove i pochi ricchi dovranno difendersi dalle migrazioni poco amichevoli dei tanti poveri in cerca di refrigerio. Che tradotto significa: occhio ai futuri nazionalismi.

Durante un incontro a Ginevra sul clima Alston ha anticipato il contenuto della nuova ricerca che sarà presentata venerdì mattina al Consiglio per i diritti umani dell'Onu. Il ricercatore vede nero, giudicando «palesemente inadeguate» le misure adottate finora dalle Nazioni Unite sulle povertà estrema e i diritti umani. Unica nota positiva l'attivismo della piccola Thumberg. Che, guarda caso, sarà presto ospite a Ginevra.

Apocalittica visione, non c'è che dire, ascoltando le parole del relatore. «Ormai è una certezza, il cambiamento climatico annullerà gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà. Secondo il rapporto i paesi in via di sviluppo si ritroveranno sulle spalle il 75 per cento dei costi della crisi climatica, malgrado il fatto che la metà più povera della popolazione mondiale causi solo il 10 per cento delle emissioni di ossido di carbonio. Un'ingiustizia che getta ombre inquietanti sul futuro stesso della democrazia e aprendo a guerre per la difesa e la conquista di spazi vitali».

Scrive, infatti, Alston: «Il rischio di malcontento nelle comunità, di crescente disuguaglianza e di livelli ancora più elevati di privazione in alcuni gruppi, probabilmente stimolerà reazioni nazionalistiche, xenofobe, razziste e molto altro. Gli impatti della crisi climatica non faranno che aumentare le divisioni fino a un'apartheid climatica».

A suo dire i precedenti non mancherebbero. «Li abbiamo già visti sfilare sotto i nostri occhi. Come quando l'uragano Sandy devastò New York nel 2012, mettendo a dura prova i newyorkesi a basso reddito, senza accesso alla corrente elettrica e all'assistenza sanitaria; mentre il quartier generale di Goldman Sachs era protetto da decine di migliaia di sacchi di sabbia e godeva dell'elettricità prodotta dal suo stesso generatore». Su larga scala sarebbe questo lo scenario prossimo venturo con o senza Greta. A meno che non si finisca per fare come i cinesi che sparano alla nuvole per far piovere.

Ma di guerra in fondo sempre si tratta.

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