Cultura e Spettacoli

L'apoteosi del Blasco e le sfide di domani

Appena Vasco entra in scena si capisce che cosa sia il Modena Park. Per gli oltre 220 mila arrivati da tutta Italia, che hanno vissuto una serata unica con un volume altissimo

L'apoteosi del Blasco e le sfide di domani

Neanche il tempo di salire sul palco e là fuori c'è già l'apoteosi. Appena Vasco entra in scena si capisce che cosa sia il Modena Park. Per gli oltre 220 mila arrivati da tutta Italia, che hanno vissuto una serata unica con un volume altissimo. E anche per lui, arrivato dietro il palco via elicottero da Rimini intorno alle 18 facendo la perfetta battuta stile Vasco: «Direi che stasera il locale è proprio pieno». In effetti. Ieri sera la Vascocrazia si è celebrata come mai prima. Oltre tre ore e mezza di concerto. Quaranta brani a coprire quattro decenni di una carriera obiettivamente unica. E lasciate perdere il concerto in sé, le battute goliardiche oppure i riferimenti polemici a Giovanardi (durante il super rock di Non mi va). La celebrazione di Vasco ieri sera è stata coram populo e per la prima volta ha messo d'accordo il pubblico, la critica e i critici ossia tutti quelli che in questi anni si sono scatenati contro di lui. Dopo quarant'anni Vasco ha fatto pace con tutti grazie a un concerto che è senza dubbio destinato a entrare nel Guinness dei Primati come l'evento più grande della storia con spettatori paganti. E lo ha fatto nel suo periodo di rinascita dopo la malattia e le voci che lo davano per spacciato. Ma lui è abituato ad andare controcorrente. E lo ha fatto anche ieri sera, iniziando il concerto al tramonto e terminandolo con l'alba chiara del suo pezzo più famoso. È stato un rito tecnicamente perfetto ed emotivamente intensissimo perché raramente, nel mondo volatile e passeggero della musica leggera, un artista celebra la propria festa senza filtri, cantando brani mai eseguiti prima dal vivo (ad esempio «Il Tempo crea eroi») oppure inanellando nei bis un poker che avrebbe convinto anche il più scettico degli spettatori: «I soliti», «Sally», «Un senso», «Siamo solo noi», «Vita spericolata» e appunto «Albachiara» che finisce con lo scintillio potente dei fuochi d'artificio. In queste tre ore e mezza Vasco è tornato ragazzino in Bollicine, si è fatto un'altra volta punk rocker («Ieri ho sgozzato mio figlio») e soprattutto ha spiegato a tutti, casomai ce ne fosse bisogno, perché un artista vocalmente non eccelso riesce a diventare un'icona multigenerazionale. Semplicemente è se stesso, uno che sa scrivere i testi intercettando una sensibilità diffusa e spesso silente o nascosta. È un'Anima Fragile (che canta con Geatano Curreri degli Stadio, il suo vero scopritore) ma anche uno che «Dice no» pure quando è impopolare farlo. Perciò in questi decenni Vasco è stato massacrato dalla critica di ogni parte politica, con una rotazione equa e solidale, quasi fosse un suo vezzo prendere sberloni a destra e sinistra. Alla fine però costa a tutti un po' di sacrificio ammettere che ha avuto ragione lui. Al Modena Park è andato in scena un rito molto meno selvaggio di tanti rave party e molto più toccante di quasi tutti i concerti mai andati in scena in Italia. E, soprattutto, il concerto è stato sganciato da qualsiasi connotazione nostalgica tipo celebrazione della memoria oppure iperbolica stile vecchie band al tramonto. È stato, questo evento, un concerto come i soliti di Vasco, nei quali il pubblico canta (quasi) tutti i brani a memoria e alla fine rimane senza fiato come al termine di una recita corale chiedendosi, stavolta più che mai, e ora? Che cosa farà Vasco.

La sua vera sfida, dopotutto, inizia oggi, dopo il più grande concerto della storia.

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